XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A - 10 settembre 2017

Imparare l’arte del discernimento che ricerca il bene

di fra Vincenzo Ippolito

La persona che mi è accanto non è il mio nemico acerrimo. Se mi parla anche con forza e determinazione è perché ricerca il mio bene, quello che forse io non riesco o non voglio vedere, le sue parole possono anche essere forti e suonare come dei colpi bassi al mio egoismo, ma sgorgano da un cuore che ricerca il bene, senza compromessi.

Dal Vangelo secondo Matteo 18,15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

 

L’ammonizione fraterna e la certezza della presenza del Signore nella sua comunità sono i due fili tematici che il brano evangelico ci offre oggi, XXXIII Domenica del Tempo Ordinario. Si tratta dei pilastri che reggono la costruzione di ogni realtà cristiana, dalla famiglia alla comunità parrocchiale e religiosa, lì dove il Risorto si rende presente e dona la forza del suo Spirito per essere tempio vivo della sua gloria. All’inizio di questo nuovo anno sociale dobbiamo riscoprirci comunità abitate dal Risorto, rinnovando il nostro impegno nel crescere e maturare insieme guardando a Gesù, aiutandoci con la stessa amorevole cura di cui il buon Pastore è un insuperabile modello.

Evitare le devianze e i personalismi

Dopo le due ultime domeniche nelle quali abbiamo fatto sosta nella regione di Cesarea di Filippo (cf. Mt 16,13-28) per verificare il nostro cammino di fede e comprenderlo alla luce della Pasqua, la pagina evangelica odierna è ambientata in Galilea (cf. Mt 17,22), lì dove il Maestro continua ad ammaestrare i suoi discepoli, spiegando loro i misteri del Regno.
Per meglio comprendere la pericope offertaci oggi dalla liturgia è bene vedere il contesto prossimo del nostro brano. Ci troviamo dopo la narrazione della trasfigurazione (cf. Mt 17,1-13) e della guarigione del ragazzo epilettico (cf. Mt 17,14-21); Gesù ha annunciato per la seconda volta la sua Pasqua (cf. Mt 17,22-23), e, nei pressi di Cafarnao, per mano di Pietro, ha versato la tassa per il tempio (cf. Mt 17,24-27). Queste sono le scene descritteci dall’Evangelista che abbiamo saltato, poiché siamo passati dal brano di Mt 16,21-28 della scorsa domenica a quello di Mt 18,15-20 della liturgia odierna. Cambiano le narrazioni e gli avvenimenti, ma non il cuore degli apostoli che persistono nel pensare secondo gli uomini e non secondo Dio (cf. Mt 16,23). Incapaci di lasciarsi trasformare dalla parola del Maestro, si chiedono in cosa consista la grandezza nel Regno che Cristo è venuto ad istaurare (cf. Mt 18,1-4) e, pur ascoltando il Signore, non capiscono che il Figlio di Dio si è fatto uomo per ricondurre all’ovile del Padre anche una sola delle pecore smarrite (cf. Mt 18,5-12).

Proprio la pericope immediatamente precedente (cf. Mt 18,12-14) – che noi raramente prendiamo in considerazione, credendo che il brano liturgico sia una realtà narrativa a se stante – ci aiuta a comprendere quanto il Signore ci insegna oggi (cf. Mt 18,15-20). Scrive san Matteo: “Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella smarrita?” (Mt 18,12). Cristo è quell’uomo venuto a raccogliere i dispersi e per far questo, che rappresenta poi la volontà del Padre, Egli è disposto a mettere a repentaglio la sua vita, così da ritrovare la pecora perduta e rallegrarsi per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite (cf. Mt 18,13). L’insegnamento che ne deriva – “Così è volontà del Padre che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda” Mt 18,14 – è la chiave per comprendere la parola di Gesù che la liturgia oggi ci dona. La correzione fraterna rappresenta il perpetuarsi nella comunità della dinamica vissuta da Gesù durante i suoi trentatré anni di vita terrena. In tal modo, i discepoli sono chiamati a seguire Cristo, attuando il suo stesso comportamento – “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”, ammonisce san Paolo in Fil 2,5 – e divenendo garanti della vita e della salvezza dei fratelli. Così facendo, l’ammonizione al fratello che è nell’errore non è un’azione a sé, che trae forza da un ragionamento unicamente umano, ma si modella sulla prassi di Gesù, sulla compassione del suo Cuore misericordioso.

Proprio avendo chiarito la dinamica che Cristo vive nei riguardi di ogni uomo, possiamo leggere e meditare la pericope evangelica odierna che rappresenta il risvolto nella nostra vita di discepoli della volontà di seguire il Signore. Difatti, proprio il come comportarsi dinanzi alla colpa commessa dal fratello rappresenta uno dei tasti dolenti nella sequela di Cristo, il secondo sarà il perdono fraterno sul quale la parola di Cristo sarà illuminante nella liturgia della prossima domenica (cf. Mt 18,21-35). Si tratta di situazioni delicate nella comunità cristiana di ieri e di oggi perché non si può far finta di non vedere gli errori propri e altrui, pena la non autenticità delle nostre relazioni e il non conseguimento della perfezione della carità alla quale il Maestro ci chiama. È chiaro, vedendo il comportamento di Gesù, quanto sia necessario intervenire nella colpa dell’altro, ma il vero problema che si presenta è come correggere il fratello, senza ledere la carità e conservare la verità. Non è un caso che, nel computo delle sette opere di misericordia spirituali, ci sia anche l’ammonire i peccatori. Il Maestro comanda la carità, ma la sua forma più alta è la cura del fratello che è caduto nell’errore, voluto o involontario che sia. Il cammino dell’altro mi appartiene, per questo non possiamo chiudere gli occhi davanti alle difficoltà.

Evitare le devianze e i personalismi nel correggere

Il primo dato che emerge dalla lettura di Mt 18,15-20 è il concetto di peccato. “Se il tuo fratello commette un peccato contro di te” (Mt 18,15). Il Signore, quando si esprime in questi termini, ha come retroterra l’Antico Testamento. Il peccato è quel comportamento attuato dall’uomo che non solo è contrario alla legge di Dio, ma – potremmo dire ancor meglio – è contrario a Dio perché non costituisce il vero bene per l’uomo. Il Signore codifica nella legge il bene il cui valore l’uomo non riesce sempre a vedere con lucidità ed attuare con determinazione. Ogni qual volta una persona non raggiunge il fine che nel progetto di Dio deve conseguire, cade nel peccato perché viene meno al suo autentico bene. In tal modo, la colpa è come una freccia scoccata da un arco che non raggiunge il bersaglio, c’è il desiderio di conseguire un bene – centrare il bersaglio – ma esso si concretezza nel non raggiungimento del fine vero che conduce a cantare vittoria. Volendo fare un altro esempio, possiamo anche dire che la dinamica del peccato è simile a quella che si attua quando si vede un miraggio. Si corre, ci si precipita, ma, una volta catapultati in quello che appariva nel deserto come un’oasi dove prosperava ogni bene, si batte con la testa sulla sabbia, perché il bene sperato e sognato – il miraggio appunto – non esiste.

Per non rischiare di fallire l’uomo della Scrittura non solo deve seguire quanto il Signore prescrive nella Legge, ma deve attuare l’arte del discernimento che lo conduce a ricercare il bene, a desiderarlo secondo Dio ed attuarlo nelle situazioni della vita. In questo modo non sono io che decido cosa è o non è peccato – la tentazione di mangiare dell’albero del bene e del male e di decidere così da noi stessi la scala valoriale della nostra vita è sempre presente – perché nel determinare la colpa, c’è una dimensione oggettiva che non va misconosciuta e che bisogna tener presente quando si parla di correzione fraterna. Io sono chiamato ad intervenire non quando il comportamento dell’altro, attuato in retta coscienza, lede il mio egoismo, ma quando, invece, il fratello o la sorella non raggiunge il suo bene e si accontenta del poco che il suo amor proprio pretende. Il motivo dominante della correzione fraterna è sì il bene, ma non quello non attuato secondo me, con l’applicazione di un criterio soggettivo, quanto, invece, quello secondo Dio, il bene che Egli chiede a ciascuno di realizzare, assecondando la sua grazia. In tal modo non solo è richiesto un attento discernimento da parte di chi attua un comportamento, perché non può farsi portare dall’irruenza e dalla superficialità, ma anche le persone che gli sono vicine devono spogliarsi di ogni tipo di pretesa per analizzare, alla luce della fede, le situazioni con freddezza ed oggettività. Nella correzione – in realtà questo deve avvenire sempre – io devo guardare la persona che mi sta accanto con gli occhi di Dio, devo sempre scorgere il bene ed aiutare nel proseguire il cammino volgendo in meglio ogni situazione, infondendo coraggio ed intervenendo con prudenza e delicatezza, sempre dimostrando che le situazioni e gli atteggiamenti da rivedere non ledono l’egoismo o sono mossi da invidia e dal malsani sentimenti di strumentalizzazione, ma da vero amore, lo stesso che il Signore infonde nel nostro cuore. Solo chi ama, corregge – “Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?” ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei (12,7) – perché desidera per l’altro sempre il meglio e soffre se non riesce a raggiungerlo, così come Dio stesso lo desidera. Nel momento in cui io attuo la correzione deve trasparire in me il Cuore di Cristo, il vero pedagogo, l’unico Maestro, perché deve essere il suo Spirito che ci muove ad intervenire nella vita del fratello. Se, assecondando quello che noi pensiamo dell’altro/a, interveniamo in maniera autoritaria e violenta, otterremo l’effetto contrario e invece di spingerlo/la a riflettere sul proprio comportamento e sulle sue parole, causeranno le sue chiusure e si inclinerà anche il nostro rapporto.

È necessario evitare personalismi nell’azione educativa e cercare in ogni modo di intervenire con amore, senza lasciare che le situazioni precipitino perché allora ogni tipo di intervento sarà inutile. Questo vale in ogni rapporto, nella coppia e con i propri figli, con gli amici e nel lavoro. Non si può far finta di nulla dinanzi ad una situazione sbagliata o, ancor peggio, ingiusta, ma è necessario intervenire con determinazione ed amore, a seconda della gravità del fatto osservato. Ma questo sempre lasciando trasparire che si ricerca il bene, che si desidera il meglio, che i comportamenti sbagliati vanno rivisti perché non aiutano nel cammino di crescita e di maturità.
Guardare le situazioni con audacia, discernerle secondo Dio, pregare per vedere come intervenire e chiedere, come la regina Ester, che sulle nostre labbra ci sia “una parola ben misurata” (Est 4,17) è il cammino da compiere perché il nostro sia un intervento educativo e non lo sfogo in un momento di ira e di risentimento. Non è sempre detto che quello che noi proponiamo o pretendiamo sia il vero bene, quello che il Signore richiede. Per questo è necessario riflettere e purificare il cuore da ogni egoismo perché il Signore si serva di noi per accendere nel cuore dell’altro/a il desiderio dell’autentico bene da perseguire ed attuare.

Accogliere con fede la correzione

Non è semplice l’azione educativa sia da parte di chi la attua, ma anche da parte di chi la riceve. Questo è vero soprattutto quando si parla di correzione perché colui che è incappato nella colpa non sempre è consapevole del suo errore o vuol diventare consapevole di ciò che ha fatto o persiste a fare. L’intervento di ammonimento si scontra molto spesso con il cammino di consapevolezza che il fratello, caduto nello sbaglio, non sempre riesce ad attuare, perché non è semplice riconoscere il proprio errore e farne ammenda. La correzione, se ben attuata e perseguita sotto la luce di Dio, è un’azione profetica perché chi interviene lo fa in nome di Dio, non dimostra nessun interesse nel parlare e persegue il bene del fratello che è il fine di ogni intervento che è mosso dall’Alto. Chi corregge non è spinto dal proprio interesse ad intervenire – in questo caso non sarebbe autentica correzione, quanto ricerca del proprio tornaconto – ma parla per non macchiarsi dinanzi a Dio del peccato di omissione.
È importante comprendere sempre meglio la realtà della profezia insita nella correzione, che è insieme amore e responsabilità. “O figlio dell’uomo – è quanto ci è donato come Prima Lettura – io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia” (Ez 33,7). Devo capire che a me è stata affidata la parola di Dio per l’altro e sono garante del suo cammino, non posso eludere le mie responsabilità, dicendo come Caino “Sono forse io il custode del mio fratello?” (Gen 4,9). Non posso dire di avere a cuore l’altro/a se non vivo lo scandalo del rifiuto possibile, se non mi espongo al suo ludibrio e ai suoi eventuali improperi. In caso contrario, potrò anche restarci male e non conservare la pace interiore che è propria dell’ambasciatore che parla in nome di altri e che riferisce quanto è stato deputato ad affidare. In quanto azione profetica, la correzione richiede fede e un autentico cammino di preghiera in chi la attua, ma anche in colui che riceve l’ammonimento. Insegna in tal senso san Francesco d’Assisi: “Beato il servo che è disposto a sopportare così pazientemente da un altro la correzione, l’accusa e il rimprovero, come se li facesse da sé” (Ammonizione XXII,1: FF 172). Si comprende bene allora che solo nella fede si vede nell’altro Dio che mi chiama a conversione. Si tratta di un passo non semplice da fare perché non sempre si riconosce Dio nell’altro, dal momento che la verità proposta è scomoda da guardare in faccia, abituati come siamo a conservare una immagine di noi stessi che non è quella vera. Nella correzione siamo chiamati a gettare le false maschere, a comparire dinanzi a Dio e all’altro/a così come siamo, senza edulcorazioni e mistificazione, senza falsità e raggiri. Dobbiamo rispecchiarci nelle parole che ci vengono donate e rientrare in noi stessi, per attuare quel cammino di introspezione che rappresenta il passaggio obbligato per verificare la parola della persona che ci ama e ricerca il nostro vero bene e discernere il bene che mi è proposto. Talvolta, invece, accade che davanti ad un rimprovero rispondiamo con ira e risentimento, ci chiudiamo, invece di attuare quella revisione di noi stessi che la correzione ricevuta richiederebbe. Perché allora ci lasciamo prendere dal pensiero, opera del Nemico, che l’altro non è mosso dal nostro vero bene? Perché rispondiamo con violenza, pur di non riconoscere i nostri errori? È così difficile darsi tempo per rientrare in se stessi e riflettere con calma?

Accogliere la correzione è un camino di verità che ci rende maturi, ci spinge a guardarci in profondità, a scandagliare le nostre intenzioni, a rivedere i comportamenti attuati, aprendosi ad un eventuale confronto che è segno della volontà di comprendere ciò che l’altro/a propone e ciò da cui è veramente mosso. È da immaturi fare la parte delle vittime. Si può anche farlo sulle prime, ma persistere nel risentirsi, non aiuta il rapporto a crescere e non conduce ad un serio esame di quanto ci portiamo nel cuore. Talvolta può anche avvenire che sentimenti buoni, intenzioni ottime ci conducano a scelte non sempre completamente positive, ma anche lì è necessario iniziare un cammino di discernimento per scandagliare il cuore – bisogna spezzare minuziosamente il cuore, ammonisce san’Agostino – e vedere ciò che veramente è nascosto nelle profondità di noi stessi. La persona che mi è accanto non è il mio nemico acerrimo. Se mi parla anche con forza e determinazione è perché ricerca il mio bene, quello che forse io non riesco o non voglio vedere, le sue parole possono anche essere forti e suonare come dei colpi bassi al mio egoismo, ma sgorgano da un cuore che ricerca il bene, senza compromessi. Se egli/ella ha parlato – perché non riconoscerlo? – ha dovuto anche vivere la morte a se stesso/a per vincere la paura di farlo e l’eventualità di essere rifiutato/a, anche questo è segno di amore grande e di responsabilità assunta con maturità. Se la correzione nasce dal discernimento del bene da proporre, anche l’accoglierla richiede discernimento perché non dobbiamo essere acritici e accettare tutto ciò che ci viene detto, ma è sempre utile ed opportuno vagliare nel fuoco della preghiera la parola ricevuta per vedere se Dio ne è l’autore.

Il cammino per divenire consapevoli del bene non attuato

L’evangelista Matteo ci propone vari passaggi da fare per reintegrare nella comunità l’errante – importantissima è la dimensione comunitaria che l’Evangelista sottolinea, perché la colpa è tale non solo nei riguardi di chi la riceve, ma dell’intera comunità di cui egli è membro – e farlo desistere dalla strada cattiva imboccata. Al confronto personale (cf. Mt 18,15), qualora non lo si voglia ascoltare, deve seguire la testimonianza di due persone che attestino la rettitudine dell’ammonimento fatto in precedenza e lo avvalorano con la propria parola (cf. Mt 18,16). Il terzo stadio è dato dal confronto con l’intera comunità che è garante del bene di ciascuno (cf. Mt 18,17). Non si tratta dei passaggi per condannare l’errante, quanto della ricerca da attuare progressivamente per recuperare un fratello. È questo l’obbligo morale che bisogna vivere – sembra dire tra le righe l’Evangelista – fare di tutto perché chi è nella colpa non si senta escluso, ma avverta accanto a sé la cura amorevole della comunità-Chiesa che, come una madre, si prende sollecita cura della vita e del cammino di ciascuno. Non è forse questa la legge naturale dell’amore che si attua nella famiglia? La persona che si trovano nell’errore ha bisogno di sentirsi amata, mai rifiutato per quello che ha fatto, perché si condanna il peccato, ma chi lo ha compiuto resta sempre la persona che noi abbiamo amato e che, vinto lo scandalo iniziale, siamo chiamati ad amare ancor di più.

I diversi passaggi indicati servono non per indicare come mettere sotto torchio il fratello, ma come recuperarlo, vivendo fino in fondo l’amore e la cura per lui. Si tratta di un cammino di consapevolezza che l’errante deve attuare e per questo è necessario tempo. Indirettamente l’Evangelista sembra richiamare la sua comunità all’arte dell’accompagnamento e della pazienza perché si generi la consapevolezza del peccato oggettivo e si inizi un cammino di conversione. Per questo i passaggi successivi sono quelli che riguardano il legare e lo sciogliere (cf. Mt 18,18), quasi a dire che la Chiesa è garante di una grazia misericordiosa che travalica il tempo, ed il sapere che Cristo è sempre presente come cuore pulsante di misericordia nella sua comunità. È la permanente presenza di Cristo cha anima i nostri rapporti e motiva la pedagogia da attuare perché sia Lui a trasparire in noi e tra noi, rendendo visibile la potenza di quell’amore che trasforma le nostre famiglie e comunità in luoghi dove misteriosamente si sperimenta l’onnipotenza dell’amore che ci rende, progressivamente, persone migliori.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.