Tinder

L’amore ai tempi di Tinder

Tinder

di Ida Giangrande

Non è forse vero che il filtro mediatico ci aiuta a presentarci per quello che non siamo? È per questo che abbiamo bisogno di caricare le nostre foto su una piattaforma digitale per fare nuove conoscenze? Ecco cos’è rimasto dell’amore nell’era delle chat rosa.

Non è certo una novità. Le chat rosa sono sempre esistite. Mi verrebbe istintivamente da dire: “Giochi innocui per bambini…” ma sarebbe una riduzione sommaria del problema che invece sembra acquisire proporzioni sempre più vaste e, direi, pericolose.

Protagoniste di questo gioco perverso sono app come Tinder, Happn, Once, Grindr, Kik e Wapa, chat nate per mettere in contatto persone.

Il fenomeno, all’inizio appannaggio degli adolescenti, sempre così selvaggiamente desiderosi di esperienze nuove e in taluni casi, anche estreme e pericolose, oggi si sta affermando sempre di più come un mondo sommerso fatto di adulti.

Campionature di ‘tipi’ umani, fotografie (spesso fittizie), immagini e poche informazioni, quel tanto che basta per una relazione 2.0: tecnomediata, liquida e con poca importanza.

Certo se impieghiamo gran parte del tempo inchiodati ai nostri smartphone e tablet, l’unica possibilità che abbiamo per conoscere qualcuno è passare attraverso la rete. Ma chi incontriamo dall’altro lato? E soprattutto, cosa cerchiamo quando carichiamo il nostro volto su queste piattaforme?

La verità è drammaticamente sotto gli occhi di tutti: siamo esseri sempre più fragili e insicuri. Figli dell’era digitale, perennemente in fuga dal mondo. Cerchiamo consensi, la possibilità di indicizzare il nostro successo mediatico a suon di ‘like’ per dirla come Facebook, sfruttando la copertura dello schermo che ci permette di fingere. Non è forse vero che il filtro mediatico, ci aiuta a presentarci per quello che non siamo?

Ma c’è qualcosa di ancora più inquietante in tutto questo ed è la possibilità di vivere esperienze eccitanti, fuori dalla nostra portata, comodamente mascherati dietro identità fittizie e distanze virtuali.

Navigando su applicazioni per incontri, non è necessario far sapere chi sono e cosa faccio. Se sono sposato, se ho dei figli, se sono felice nella mia vita, nella mia storia, se sono un pazzo maniaco in cerca della prossima vittima, basta cliccare, prendere un appuntamento e tutto il resto è di facile deduzione.

La più famosa di queste chat è sicuramente Tinder. Stiamo parlando della app che fino a questo momento ha registrato circa 50 milioni di utenti in tutto il mondo. Età media? Trenta-trentacinque anni. Non più adolescenti quindi, ma adulti, padri di famiglia, affermati professionisti, di qualsiasi nazionalità. Parliamo spesso di gente importante che gode di una fedina sociale immacolata. E poi ci sono loro: sposati, divorziati, separati. Alcuni lo confessano subito, altri lo dicono fra le righe con espressioni come: “Vengo da una relazione importante, non voglio impegni, né vincoli, ma solo divertimento facile e sano”.

“Sono sposato!” confessa uno di loro: “Ho la convinzione che il mio matrimonio non sarà mai in crisi finché potrò avere una vita e un’identità parallele. Perciò, bando alle ciance, non voglio un’amica e neppure un’amante. Voglio una sera, un’ora, anche dieci minuti. Ci stai?”. Che tristezza! Quanta pochezza…

Un caleidoscopio di suoni e colori in cui si può trovare veramente di tutto, ma il fine è quasi sempre lo stesso: “Vediamoci per un drink. Non te ne pentirai!”. L’allusione è chiara, lo sfondo ha tinte forti che richiamano l’espletamento di una funzione genitale, molto lontana dall’amore e da qualsiasi altra esperienza affettiva. Lo si evince anche dal genere di foto-gallery che possiamo vedere: corpi seminudi, filtrati attraverso lo specchio, alla maniacale ricerca dell’angolazione perfetta.

Cosa resta dell’amore? È così che cerchiamo i sentimenti ai tempi dei social? Ci incontriamo solo per consumare un rapporto?

Il cursore pulsa sullo schermo bianco del mio computer ed io non ho più parole per esprimere il disorientamento che provo. Continuo a chiedermi come siamo arrivati così lontani da noi stessi? Abbiamo perso il gusto del corteggiamento face to face, la gioia dell’innamoramento, il sapore dell’attesa che è il vero piacere di una relazione. Poi quel gioco di sguardi, un dialogo di sensi che non ha bisogno di parole, perché si nutre di anime. È da qui che parte l’amore. Ci ostiniamo a negarlo, ma siamo fatti di anime e quelle non hanno un profilo social, non possono essere intrappolate in un selfie e non si mettono in mostra in una galleria di foto. L’anima si racconta attraverso la frequentazione ordinaria, il profumo che indosso, le parole che dico, il modo in cui le dico. Tutto racconta la mia anima, ma per arrivarci dobbiamo tornare a frequentarci incontrandoci sì, ma nella realtà.

Proviamo ad usare la tecnologia per quello che serve dunque. Se vogliamo fare amicizia, invece di scaricare Tinder, iscriviamoci in palestra. Non lasciamo spazio a chi vuole fuggire dalle proprie responsabilità usando il nostro bisogno di affetto. Non lasciamoci intrappolare in avventure senza senso, cerchiamo, piuttosto, il senso umano dell’amore, forse allora saremo veramente liberi.




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