Festa del papà

Il papà tra cura e autorevolezza

papà

di sr. Daniela Cristiana Galletto

Oggi festa del papà, ma quale paternità festeggiamo? I padri si sono allontanati dalla loro identità storica e si sono impegnati nella ricerca di un nuovo modello, in cui insieme alla razionalità e direttività trovi spazio anche l’attenzione per i sentimenti.

Ogni anno, a marzo, la festa del papà fa capolino tra i giorni speciali che la primavera porta con sé… Ma quale papà festeggiamo, ricordando la dolce figura di san Giuseppe che ha dato una famiglia a Gesù di Nazareth?

Oggi il padre vive una profonda contraddizione tra i modelli tradizionali di paternità appresi, contestati e svuotati nel tempo della loro essenza più profonda e il desiderio di vivere il loro ruolo in maniera più “calda” rispetto al passato. Così i padri di oggi si sono allontanati dalla loro identità storica e si sono impegnati nella ricerca di un nuovo modello, in cui insieme alla razionalità e direttività trovi spazio anche l’attenzione per i sentimenti, gli affetti e quello che in genere viene definito il privato. Se da un lato possiamo prendere atto del fatto che una nuova generazione di uomini ha saputo abbracciare un modello di paternità inedito, aperto alla disponibilità, al gioco, alle dimostrazioni di amore e alla cura dei propri figli, da un altro lato dobbiamo prendere atto del fatto che questi uomini riescono spesso con molta fatica a sostenere la crescita dei propri figli non solo con l’affetto, ma anche con regole e contenimenti.

Un interrogativo, dunque, ci interpella tutti: quale volto dovrebbe avere il padre oggi? Da una parte si avverte la nostalgia di una presenza stabile e rassicurante, che sappia stare accanto ai figli quando giocano e quando studiano, quando sono spensierati e quando sono tristi, quando si esprimono e quando restano in silenzio, quando hanno coraggio e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada. Dall’altra, al padre è maggiormente attribuito il compito di gestire gli interventi educativi inerenti la responsabilità di nutrire i propri figli con quei “no!” che portano con sé il senso del limite e sanno supportare il loro processo di autonomizzazione. Oggi viene richiesto ai padri di abbandonare l’autoritarismo rigido per recuperare la dimensione della cura, ma ne deriva che molto spesso essi non riescono a fondere affettività e autorevolezza in una sintesi equilibrata, come se le due dimensioni non potessero essere compresenti. È evidente che il padre deve essere presente nella vita dei figli e del sistema famiglia, ma è necessario innanzitutto che egli sia presente a se stesso e che si riconosca investito di una grande responsabilità pedagogica alla quale è possibile educarsi giorno per giorno.

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La crisi dell’autorità per le giovani generazioni si riflette nella vita degli adulti incapaci di autorevolezza, che preferiscono far correre ai propri figli un certo smarrimento in termini di punti di riferimento e di ideali, pur di risparmiare loro il conflitto tra il mondo dei desideri e quello di valori che un tempo si tramandavano come eredità ed oggi sono ritenuti ormai superati. Fortunatamente ci sono anche genitori che testimoniano con coerenza la solidità di ciò in cui credono senza imporsi, e sono convinti della loro responsabilità educativa da assumere con autorevolezza: le loro scelte, nella maggioranza dei casi, impegnano i figli a misurarsi fin da piccoli con i valori essenziali, li allenano a riflettere costantemente e a mettere in discussione pulsioni ed istinti alla luce di tali principi. Spesso i vari “io voglio”, le paure e i capricci dei bambini diventano legge per i padri e le madri intenti a riparare agli errori fatti dai propri genitori. In realtà l’obbedienza e l’autorevolezza sono virtù, a causa della loro specifica capacità di dare consistenza ai legami. Chi fa quello che vuole è destinato a vivere solo. L’obbedienza, infatti, chiede sottomissione, ma in realtà genera reciprocità, altrimenti si parlerebbe di dominio. Ai genitori è richiesta un’obbedienza che è fedeltà al vero bene dei figli; ai figli è richiesta un’obbedienza che è docilità alla responsabilità dei genitori.

In ogni caso l’orizzonte di tali atteggiamenti non può essere il timore, ma la confidenza, che è la forma più impegnativa del dono ed è legata alla gratuità. Solo vivendo in tal modo i figli sono messi nelle condizioni di affidarsi alle premure degli adulti che si prendono cura di loro. L’esempio estremo della reciprocità dell’obbedienza è leggibile nella vicenda umana e divina di Gesù di Nazareth, reso grande per la sua obbedienza. Messo in croce come ribelle disobbediente, Gesù, uomo libero e autentico, si è dimostrato “colui che serve”, obbediente fino alla fine. L’atto della totale obbedienza alla volontà del Padre diventa così espressione massima della forza del legame tra Gesù e l’umanità per cui Cristo è morto e risorto. Dall’obbedienza e dall’autorevolezza fioriscono, dunque, nuovi rapporti di umanità.




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