Famiglie spaesate
Intervista di Giovanna Pauciulo
In contemporanea per 20 città italiane, lo scorso 30 ottobre 2007, si è svolta la presentazione nazionale del Dossier Statistico 2007 sull’Immigrazione. A Franco Pittau che ne è stato il curatore abbiamo rivolto alcuni quesiti su come le famiglie immigrate vivono la loro difficile condizione.
Articolato in cinque parti, il XVII Rapporto sull’Immigrazione è un volume di poco più di 500 pagine, in cui attraverso analisi e tabelle statistiche si parla di: contesto internazionale ed europeo; stranieri soggiornanti in Italia; inserimento socio-culturale; mondo del lavoro; contesti regionali; una scheda riepilogativa e un inserto speciale dedicato ai rifugiati, rispettivamente, precede e conclude questo lavoro realizzato da Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas diocesana di Roma, con la collaborazione di organizzazioni internazionali, strutture pubbliche nazionali, università, enti locali e organizzazioni sociali che si occupano di immigrazione.
Nell’introduzione al Dossier i delegati di Caritas e Migrantes, sottolineano che “l’immigrazione è un fenomeno tutt’altro che marginale e si configura come un aspetto innovativo e qualificante della società italiana che si va costruendo, maggiormente imperniata sull’equilibrio delle differenze”. In occasione della presentazione del Dossier è stato inaugurato l’Anno Europeo del Dialogo Interculturale 2008.
Il Dossier, che si configura come un progetto di ricerca e sensibilizzazione, è stato curato dal dott. Franco Pittau. Intervistato per questa rivista, il dott. Pittau, ha focalizzato per noi il fenomeno migratorio in prospettiva familiare.
Dott. Pittau, valutando il ritmo di crescita dell’immigrazione di questi ultimi anni, l’Italia si colloca al vertice europeo, qual è la ragione di questo incremento significativo e quanto incide la componente famiglia?
Il ricongiungimento familiare costituisce in Italia il secondo titolo di soggiorno dopo il lavoro, a riprova del fatto che l’immigrazione è ormai giunta nel suo pieno grado di maturità essendo ormai stato superato il tempo della precarietà, per cui i primi immigrati si fanno raggiungere dal proprio coniuge e dagli eventuali figli. Dalla metà degli anni ’90 è andata fortemente incrementandosi la venuta per ricongiungimento familiare come risultante di una forte propensione dell’immigrazione ad un insediamento stabile: nel 2006 si è trattato di 82.000 venute a tale titolo. Se una volta gli immigrati erano, in prevalenza, uomini soli o donne sole, ora per lo più si tratta di persone sposate (52,7% del totale delle presenze), che vivono in parte con la loro famiglia.
C’è differenza tra Nord e Sud?
Il Cnel, nel suo Quinto Rapporto sugli indici di integrazione ha incluso, nella batteria degli indicatori presi in considerazione, anche quello di ricongiungimento familiare (e cioè la percentuale dei soggiornanti per motivi familiari su totale soggiornanti) perché la presenza per motivi familiari rappresenta un interessante indicatore del grado di inserimento degli immigrati nel nostro Paese. Per quanto riguarda la graduatoria, il primato spetta all’Abruzzo, ma è indicativo che nelle prime 10 posizioni della graduatoria per province siano rappresentate tutte le grandi aree territoriali d’Italia, a dimostrazione che questo fenomeno riguarda ormai in misura diffusa l’intero territorio nazionale.
Quali sono i maggiori disagi, le principali difficoltà che incontra una famiglia immigrata?
Fondamentalmente i disagi di una famiglia immigrata sono di natura ecoonomica, affettiva e culturale. A livello economico non c’è bisogno di insistere sul grave problema degli alloggi, specialmente per gli immigrati, sulla precarietà del lavoro e sui figli come fattore di incremento della povertà, figli che nelle famiglie immigrate sono più numerosi rispetto a quanto avviene tra gli italiani. Il contesto familiare usuale (padre-madre-bambino), poi, è quello più adatto a favorire un sereno sviluppo emotivo e relazionale dei minori e, perciò, le esperienze di separazione da uno o da entrambi i genitori sono un fattore di rischio perché costringono, per periodi più o meno lunghi dell’infanzia, a vivere in famiglie di fatto smembrate. Infatti, sono ricorrenti i nuclei con una sola figura genitoriale, dove per giunta manca l’appoggio della rete parentale costituita da nonni, fratelli, e altri parenti, per lo più rimasti nei paesi di origine.
Infine, a livello culturale, la famiglia immigrata, situandosi tra due società, fa giocoforza riferimento ai modelli di quella d’origine e a quelli della società d’accoglienza. Questo essere “tra diverse culture” comporta difficoltà aggiuntive nelle diverse fasi del ciclo di vita familiare e non è scontato che si riesca, senza inconvenienti, a passare dall’una all’altra, non solo a livello linguistico ma anche di valori e di comportamenti.
É giusto ritenere che donne e minori sono i soggetti che sperimentano maggiori criticità nella migrazione?
Esattamente. L’immigrazione è un insieme di luci e di ombre, fattore di progresso e occasione di contrasti. Consideriamo, anzitutto, il ruolo delle donne, che sono chiamate ad affrontare un impegnativo cambiamento personale, passando da un ruolo assegnato dalle convenzioni del paese di origine, spesso caratterizzato da rigide subordinazioni gerarchiche al partner maschile, alle esigenze del nuovo contesto sociale e le sue proprie esigenze.
Inoltre devono conciliare i tempi di lavoro, sovente molto assorbente come quello svolto nel settore dell’assistenza, con quelli della propria famiglia. Infine devono mediare tra la cultura di origine e quella di accoglienza e preparare così contatti funzionali con la scuola, gli uffici e i servizi pubblici.
Non meno acuti sono i problemi che spesso i minori sono chiamati ad affrontare. Le persone che sono nate all’estero e là hanno vissuto il primo processo di socializzazione, quando emigrano, non importa se lo fanno insieme ai loro genitori o in una fase successiva, vanno soggetti a una sorta di “choc transculturale” nel paese di insediamento, con aspetti di maggiore gravità a seconda dello stadio di sviluppo del bambino e dello stato delle sue delle relazioni affettive.
Quali potenzialità della dimensione familiare sono coinvolte nel fenomeno migratorio?
La famiglia, quando ha un certo grado di coesione e di tranquillità, riesce a dare ai suoi componenti nella mediazione con il nuovo ambiente, diventando una cellula attiva per il confronto e il reciproco arricchimento con gli autoctoni: sul posto di lavoro, nelle famiglie, nei contatti sociali e culturali, nella scuola, nel tempo libero e così via. L’obiettivo ottimale, per non diventare né sradicati né emarginati, consiste nel non recidere i legami con la cultura d’origine senza diventare estranei nella società ospitante.
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