Il valore della testimonianza

di Eugenio ed Elisabetta Di Giovane

Le strade dei Barrios, le campagne, i caserios, ogni luogo che abbiamo visto in Venezuela è pieno di bimbi e giovani. Le condizioni in cui crescono però non sono le migliori e non solo perché spesso soffrono la fame, una inadeguata assistenza medica ed una inefficiente scolarizzazione. Il problema più grande è la famiglia (se famiglia si può chiamare) dove crescono. Famiglie generalmente composte da un solo genitore e spesso segnate da problemi di alcol, “machismo”, violenze ed abusi. Ed è in questo contesto che nasce un meccanismo perverso per cui i giovani, specialmente le ragazze, partendo dall’illusione di vivere una vita migliore, scappano adolescenti dalla famiglia d’origine per crearsi una nuova famiglia dove si ritrovano a rivivere dopo pochissimo tempo esattamente le stesse difficoltà da cui cercano di fuggire.

Questa volta vogliamo rendere concreto il discorso riportando l’esempio di due ragazzine della Cappella dove lavoriamo. La prima è Jenifer, 12 anni, che insieme a uno dei suoi 7 fratellini frequentava il recupero scolastico qui al Centro Sociale. La mamma quasi un anno fa ha lasciato il marito e gli 8 bimbi per andare a stare con un signore e i ragazzini (la più grande di 13 anni, la più piccola di 2) rimangono tutto il giorno a casa soli a cucinare, lavare e mandare avanti la casa. Da circa un mese Jenifer ha deciso di lasciare il recupero e anche la scuola (in cui frequentava la terza elementare senza ancora saper leggere e scrivere accettabilmente) perché nella sua vita è comparso un fidanzato, anche lui di 12 anni, che è già “entrato in casa” ufficialmente, accettato dal padre. Speriamo solo che non si senta veramente già abbastanza grande come dice da essere pronta a “mettere su famiglia”. Qui nel Barrio infatti non sono affatto rari i casi di ragazze che partoriscono a 12 anni, mentre sono assolutamente comuni a 15 anni. La seconda è Zulimar, di 15 anni, che per un certo periodo ha frequentato il gruppo giovani della Cappella, e che questo mese è uscita di casa per andare a vivere in un “ranchito”, cioè una baracca di lamiera, con il suo fidanzato di 25 anni. Lei scappa da un padre da sempre violento e aggressivo e dipendente dall’alcol; a quanto sappiamo anche il fidanzato non è propriamente una persona raccomandabile. Ci chiediamo quanto mesi saranno sufficienti perché rimanga incinta e si ritrovi a dover affrontare difficoltà più grandi di lei.

In questi casi, quasi quotidiani, noi cerchiamo di parlare con le famiglie, allertiamo la comunità perché qualcuno provi ad avvicinarle, anche se spesso, arrivati a questo punto, è ormai troppo tardi per cambiare un passato fatto di esempi sbagliati, di abusi e di ignoranza. Molto di più si potrebbe fare con la prevenzione. Il fatto di essere una famiglia cristiana, una coppia sposata, di occuparci insieme delle nostre figlie, di andare insieme in chiesa, di dialogare senza arrivare alle mani, il fatto che Eugenio rispetti Elisabetta e non beva, l’essere una coppia felice senza bisogno di cercare “distrazioni” altrove: tutti questi sono aspetti molto importanti e a volte operano più di tante parole o catechesi, sia con i bambini che passano con noi i loro pomeriggi di recupero scolastico, che con i giovani che incontriamo per il Barrio. E’ certamente molto poco, una goccia nel mare, ma è quello che riusciamo a fare.




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