La strage del popolo invisibile

di Giuseppe Anzani Magistrato

In 30 anni oltre circa 5 milioni di vittime. Questo è il bilancio di una legge che avrebbe dovuto arginare la piaga dell’aborto. Oltre al dato terrificante, ciò che emerge è il diffuso sentimento di neutralità che pervade la società di fronte a questo silenzioso olocausto.

Sono passati trent’anni dall’approvazione della legge sull’aborto, e la relazione annuale che il ministro della salute ha inviato al Parlamento il 21 aprile scorso, sull’attuazione della legge, segnala una flessione degli aborti e contiene una specie di elogio finale della legge, definita “saggia e lungimirante”. Ma se esaminiamo un po’ più da vicino i dati concreti e misuriamo che cosa vuol dire che gli aborti nel 2007 sono stati un po’ meno che nel 2006 (cioè 127 mila invece che 131 mila) quel che ci mozza il respiro è l’immagine di questi “altri” 127 mila bambini uccisi prima di nascere, una strage infinita e rinnovata. La scia del dolore e del sangue, lunga trent’anni, conta ormai milioni di croci.

No, non c’è proprio da esultare, per l’ennesimo bollettino della sconfitta della vita e della “tutela sociale della maternità” cui la legge fu intitolata. Erano parole copiate dalla Costituzione (la repubblica “protegge la maternità” dice l’art. 31) ma stravolte; la “maternità” è la vicenda che allaccia nel vincolo biologico della vita la madre e il figlio, inscindibilmente; e invece la legge 194 consegnava alla madre la scelta di vita o di aborto secondo la sua determinazione. E i motivi della scelta d’aborto, che le legge allacciava alla presenza di seri pericoli per la salute, perdevano ogni rilievo veritativo, esclusi da ogni accertamento, persino da ogni disamina. No, non è proprio la legalizzazione dell’aborto, insieme con il criterio dell’autodeterminazione, ciò che ha contrastato la tragica deriva dell’uccisione dei figli nel grembo. È intuitivo osservare che l’ha agevolata, senza peraltro neppure sopprimere l’aborto clandestino (ancora 15.000 stimati) e l’oscillazione delle cifre attorno al valore di 130 mila vite all’anno dice il peso tremendo di una durevole sciagura.

Peraltro, l’emozione più profonda  è che l’aborto non cambia natura secondo che le parole di legge lo traslochino dalla frontiera illegale al territorio legale (in Cina ne fecero persino un obbligo giuridico); l’aborto resta dominio di morte, e va guardato in faccia per quello che è, chiedendoci tutti se avvertiamo qualche dolore, qualche ingiustizia, qualche voglia di mutamento, qualche speranza di un futuro diverso, oppure se questa che tutti definiscono “tragedia” debba continuare così; se ci lasci indifferenti e inerti la previsione che “così” anche quest’anno 2008 conterà infine il suo tsunami di vite distrutte.

Qualcosa deve cambiare. Che il dibattito si arrocchi nel dilemma se “si tocca o non si tocca” la legge 194, mi sembra sterile e insensato. L’obiettivo sostanziale è di sconfiggere l’aborto, per il rispetto del diritto alla vita e ancor più appassionatamente, direi, per amore della vita della madre e del figlio, perché ogni aborto fa due vittime. Nella prima direzione, è necessario recuperare alla cultura comune la dignità della vita nascente, riscattandola da quella “insignificanza” verso cui l’ha spinta, fra l’altro, proprio la legge 194. Una sentenza della Corte Costituzionale del 1997, in argomento, rompendo una sorta di dialogo fra sordi durato decenni, ha usato in modo chiaro l’espressione “diritto alla vita” di cui il concepito è titolare; un diritto  che si iscrive “tra i diritti inviolabili e cioè tra quelli che occupano nell’ordinamento una posizione per così dire privilegiata, in quanto appartengono … all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.

Nella seconda direzione deve muoversi l’impegno, non solo privato ma  pubblico, e direi francamente “istituzionale” per la prevenzione dell’aborto. È scandaloso che nonostante la convinzione da tutti proclamata che ogni vicenda di aborto è dolore e resa, dramma e perdita, sventura e male sociale, la risposta concreta ai problemi della “maternità difficile” sia la consegna a un destino di morte per 130 mila volte in un anno. È scandaloso che i compiti dei consultori familiari, cui è demandato dalla legge di aiutare la donna, anche promuovendo speciali interventi, per superare le cause che inducono al pensiero di abortire, siano disertati. Ancora la Corte Costituzionale ha rammentato che gli artt. 1-2-5 della legge 194 devono essere interpretati e attuati come mezzi per difendere il diritto alla vita del concepito fin dalla fecondazione. È scandaloso che nella Repubblica che affidò con i suoi padri costituenti la “rivoluzione promessa” all’articolo 3 della Costituzione, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza e impediscono il pieno sviluppo della persona umana, vi sia inerzia indifferente di fronte a propositi o pensieri disperati di sopprimere la vita del figlio in dipendenza del disagio economico.

È su questa frontiera, infine, che si gioca la vera libertà: la libertà di vivere e di accogliere la vita. Aiutare la vita è il contrario dell’abbandono di una madre alla solitudine del sì e del no, al bivio tra vita o morte, quando la “difficoltà” è proprio la strettoia che coarta la libertà. È quella strettoia che va sciolta. Va sciolta con l’accoglienza e l’ascolto, con apposite provvidenze di soccorso.

E insieme, è tempo di una revisione di mentalità su ciò che nel corso degli anni si è sedimentato nel costume e nel dibattito, fino a pietrificare negli slogan “si tocca, non si tocca” non solo lo spessore etico ma la comprensione della storia. È il recupero, nel profondo della coscienza collettiva, che l’aborto non è solo una tragica piaga, ma una tragica “ingiustizia” alla quale finisce per cospirare anche l’indifferenza verso la vita. La relazione al Parlamento del ministro della salute contiene molte “raccomandazioni”, fra le quali merita accento quella rivolta “alla rimozione delle cause che potrebbero indurre la donna all’IVG, sostenendo le maternità difficili, e la promozione dell’informazione sul diritto a partorire in anonimato, nonché su tutta la legislazione a tutela della maternità”. Qualcosa di già detto, di già sentito. Inefficacemente, purtroppo, se non cambia per tutti la mentalità falsamente neutrale, se non subentra in tutti una coscienziosa passione in difesa della vita. Dei suoi diritti, e della sua attesa di amore.




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