Ripartire dalla maternità

di Giovanna Abbagnara

L’onorevole Eugenia Maria Roccella, sottosegretario alle politiche sociali, è stata una delle protagoniste del Family Day 2007. Alle nostre domande ha risposto evidenziando più volte l’importanza di un’attenzione maggiore che bisognerebbe riservare alla maternità.

Onorevole Roccella pensa che la questione dell’aborto debba essere messa al centro della politica o riguarda la coscienza del singolo?

Io penso che la maternità debba essere al centro della politica e che l’aborto sia il lato oscuro della maternità! Oggi la maternità è considerata come un fatto privato e questa coscienza pervade anche la politica per cui non si aiuta una madre a scegliere la vita piuttosto che l’aborto.

Il papa nell’ udienza privata concessa al Movimento per la Vita italiano, qualche settimana fa, ha dichiarato che la legge 194/78 “non ha risolto i problemi delle donne ma ha aperto un ulteriore ferita nella società”. Lei cosa ne pensa?

Io penso più che di legge 194 bisogna parlare di aborto. L’aborto è chiaramente una ferita! Innanzitutto per la donna ma non bisogna dimenticare che riguarda moltissime altre persone: il padre, il medico, e anche la società. Il nostro compito è quello di cercare di ridurre il danno. Anche il problema degli aborti clandestini era un dramma che produceva morti. Io ancora ricordo i nomi delle donne morte negli anni ’70, come Di Tuzza, Lo Prete, donne che erano povere, che non avevano gli strumenti per scegliere diversamente. Per questo penso che la ferita più grande sia l’aborto, la legge è un discorso a parte, il punto fondamentale da mettere al centro della discussione è l’aborto.

L’aborto è un dramma che coinvolge tutti: la mamma, il papà, il medico , l’ intera società… e l’embrione?

Naturalmente. Quando parlo di aborto parlo prima di tutto di un figlio mancato, di un embrione che è stato eliminato.

Giovanni Berlinguer senatore di maggioranza nel governo del 1978 al momento dell’approvazione della legge 194 disse che dopo un congruo periodo di applicazione bisognava riesaminarla. Perchè dopo trent’anni si ha paura di parlare di modifica o revisione della 194?

Non si ha paura! Il problema è di tipo politico. Prima ho fatto una distinzione fra legge e aborto, la legge è un fatto politico, l’aborto è invece un fatto sociale. Come fatto politico, la legge è stata formulata per evitare un referendum radicale. Questa è una legge che non solo è stata approvata dal Parlamento, ma confermata da un consenso popolare. Ora questo consenso c’è ancora? La gente ritiene che questa legge sia da confermare? Io penso che questa domanda chi fa politica se la deve porre. Inoltre consideriamo che la legge venga cambiata e i radicali chiedessero un referendum per l’abrogazione e lo vincessero, che cosa succederebbe? Queste sono domande che un politico si deve fare, perché vincere o perdere in politica non è senza conseguenze. Tant’è vero che quel referendum perso negli anni ’70 ancora segna il mondo cattolico ed è stato bilanciato, forse in parte, solo dal referendum vinto sulla legge 40 del 2004.

Quindi è un problema di opportunità?

Non è solo un problema di opportunità, è un problema proprio di democrazia. Il consenso in democrazia è importante. Io non posso dimenticare per esempio che Giuliano Ferrara ha avuto lo 0,3 %;  certo non sono dell’idea che lo 0,3% sia il consenso su una modifica di una legge sull’aborto, però in politica queste cose contano.

Giuliano Ferrara sperava in un mondo cattolico che potesse essere interessato a che la questione dell’aborto fosse messa al centro della politica. Lei come si spiega il suo flop?

Penso che oggi non bisogna isolare l’aborto, prima di tutto va contestualizzato, cioè va riportato al problema della maternità e della famiglia, evidenziando che gli aborti sono troppi, che vanno ridotti, che bisogna eliminare le cause materiali, bisogna ampliare la prevenzione. Se si fa un discorso più ampio di questo tipo sono sicura che c’è un grande consenso. Se si fa un discorso incentrato sulla legge io penso che questo paese non abbia voglia di divisioni, è un  momento anche difficile, è un momento di crisi economica. Le famiglie fanno difficoltà ad arrivare a fine mese, non si fanno figli appunto perché non ci sono le possibilità e non perché le donne non lo desiderino. Dobbiamo rimanere attaccati all’idea fondamentale che c’è di mezzo una vita umana, che c’è un orizzonte minaccioso nei confronti dell’uomo che non è solo l’aborto ma è soprattutto la procreazione assistita perché modifica le relazioni di maternità e paternità. Il referendum sulla procreazione assistita ha dimostrato che c’è sensibilità verso questo tipo di tematiche e che si avverte questa minaccia.

Lei è stata portavoce nello scorso anno dell’evento Family Day, e oggi è sottosegretaria alle politiche sociali del nuovo Governo, e ho letto che dovrebbe ricevere delle deleghe riguardo la tutela della maternità, come pensa di poter dare un contributo affinché questa attenzione alla maternità si possa sviluppare nel nostro paese?

Guardi io le deleghe  non le ho ancore avute, dovrei avere le deleghe agli affari sociali. Ma …

Allora mettiamola così: con quali desideri oggi vive il suo mandato?

Se avessi potere sulle cose so quello che farei. Innanzitutto mi preoccuperei della stesura di Linee Guide alla Legge 194/78 sul modello che aveva già preparato la regione Lombardia che però è stato bocciato dal Tar.  Poi farei un’attività di consultorio diversa da quella che c’è adesso, prima di tutto sul piano della prevenzione quindi dall’offerta di alternative alle donne che chiedono di abortire, dall’ accoglienza delle donne perché, come ha detto Paola Bonzi: “una donna per accogliere deve essere accolta”. Noi se andiamo in un consultorio, siamo accolti?… C’è inoltre tutto un problema di valorizzazione e di accompagnamento della maternità che secondo me è il cuore di una politica contro l’aborto.

Pensa che nei prossimi anni lo Stato Italiano passa promuovere questo tipo di impegno sociale?

Purtroppo nel Welfare, la maternità è sempre stata la cenerentola, tanto più che essendo in un momento di crisi economica, di taglio di spese non è facile combinare queste idee con un’azione sociale, però ci sono possibilità, secondo me, d’immaginare degli interventi.

Dopo 30 anni di aborto chirurgico entra sulla scena italiana l’ombra dell’aborto chimico, quali scenari si prospettano nel caso venisse introdotta la RU486 in Italia?

Questo è proprio un tasto dolente. Io penso, tra l’altro, che sia un pessimo farmaco, molto rischioso che illude le donne sulla facilità dell’aborto ma in realtà è un aborto che dura 15 giorni. In Francia dove è stata introdotta da più tempo la pillola, avevano una legge molto simile alla nostra, cioè con l’obbligo di intervento nelle strutture pubbliche, dopo l’introduzione della pillola la legge è stata cambiata, oggi si può abortire  semplicemente andando dal medico di famiglia, che ti dà la ricetta, ti dà le due pillole e te le prendi a casa. Trovo la cosa molto brutale perché nel 56% dei casi la donna vede l’embrione abortito perché c’è un emorragia che deve gestire e controllare. Questo, a mio avviso, è un modo per eliminare l’aborto dalla scena pubblica, per non occuparsene più, la società è in qualche modo viene ripulita dall’aborto. In questo senso è un aborto facile.

Perché pensa che nonostante sia una cosa così brutale, così evidente, non ci sia un minimo di sensibilità  per evitare che tutto questo accada?

Adriano Boppiani dice che quando le donne decidono di avere un figlio o di non averlo sono capaci di fare qualunque cosa. La maternità è una stranissima situazione, è una condizione particolare, in cui tu hai un altro dentro di te, hai la possibilità di dare la vita ad un altro, è una relazione che dura per sempre, qualcosa che è nel tuo corpo ma anche nella tua anima. E’ un esperienza assoluta per cui non sono né il dolore né la sofferenza a frenare le donne, né da una parte né dall’altra.  Quindi anche se la pillola è un modo orrendo per abortire, alla fine si fa.




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