Un’oasi felice

di Anna Pisacane

In questi  trent’anni c’è chi si è battuto per la vita. Tra le numerose esperienze, un ruolo determinante hanno avuto i Centri di aiuto alla vita federati al Movimento per la Vita Italiano. Abbiamo incontrato Paola Bonzi fondatrice del Centro Aiuto alla Vita Mangiagalli, il primo in Italia a collaborare con una struttura ospedaliera in applicazione dell’articolo 2 della Legge 194/78.

Ricordo che era l’autunno del 1984 quando chiedemmo il permesso di essere presenti all’interno della clinica, per aiutare le donne o le coppie in difficoltà ad accettare la maternità”. Da un semplice gesto e da una fiduciosa disponibilità è nata un’ esperienza che ha permesso di incontrare migliaia di donne e di rendere loro la gioia di diventare mamme.

Quest’opera è nata grazie alla tenacia di una donna, Paola Bonzi, abituata a reagire ed a organizzarsi affinché qualcosa, anche se nel piccolo, possa cambiare. “Ho cominciato a pensare queste cose nell’83. Erano i tempi di Solidarnos in Polonia. Alcuni servizi televisivi trasmettevano donne polacche che stavano fuori dagli ospedali dove si praticava l’aborto alle quali veniva offerto un tempo che serviva loro per decidere se volevano o meno parlare con qualcuno che le potesse aiutare a  portare avanti la gravidanza, che potesse offrire le cose utili per un bambino. Allora mi dissi: “Ma noi, qui in Italia, cosa facciamo?”. Paola insieme a suo marito avevano già fondato il Centro di Aiuto alla Vita Ambrosiano ma come lei stessa ci tiene a sottolineare da loro non “arrivavano le donne incerte se abortire o no, ma donne con bimbi piccoli, già nati che avevano bisogno di essere aiutate, oppure con gravidanze già molto evidenti. Quindi non si riusciva ad incidere sulla decisione di abortire o di proseguire la gravidanza, per cui incominciai a pensare di andare al Mangiagalli”. Ottennero la possibilità di essere presenti con alcuni locali all’interno dell’ospedale sperando che operatori atti a seguire l’iter per concedere l’interruzione volontaria della gravidanza potessero indicare alle donne anche la possibilità di interloquire con i volontari del Centro di aiuto alla vita, ma questo non è mai avvenuto. Soltanto pochi anni fa quando era primario del reparto di ginecologia ed ostetricia il prof. Pardi, l’ospedale si preoccupò affinchè tutte le donne prenotate per l’interruzione della gravidanza venissero informate che “potevano fare un colloquio da noi, ma questo non è avvenuto a causa della morte prematura e improvvisa del ginecologo nel mese di Maggio scorso, il giorno prima in cui dovevamo incontrarci per accordarci in questo senso”. Le migliaia di donne che in questi anni si sono rivolti al Centro lo hanno fatto grazie ad un semplice passa parola, segno che  non c’è forma di visibilità migliore che quella di dare delle risposte concrete ed efficaci. Negli ultimi due anni poi anche i media hanno rilanciato l’importanza di questo lavoro dei volontari.

Le tappe di una scelta

Paola ci racconta che la sensibilità a questo tema, ha sempre accompagnato la sua vita: “ Avevo solo 5 anni ed andavo all’asilo, ero incaricata dalla suora di raccogliere i tappi – che allora erano di alluminio – delle bottiglie del latte perché poi li schiacciavamo tutti e li rimandavamo alle missioni in Cina, perché si ricavassero dei soldini. Questo mi fa sorridere, perché era impensabile che una bambina di 5 anni facesse queste cose. È sempre stata così la mia vita. C’è sempre stato uno spazio per gli altri. Ho insegnato in una scuola per ragazzi affetti da handicap. Poi è nato il desiderio di voler fare qualcosa insieme a mio marito. Prima ancora eravamo impegnati ciascuno per i fatti propri, ma una cosa insieme non l’avevamo mai fatta. Per cui, quando hanno chiesto nel giugno dell’80 di una coppia che si impegnasse per il Movimento per la Vita, ci siamo offerti noi”. La richiesta arrivò dal loro parroco, padre Ferdinando Colombo, durante un ritiro per famiglie.

Ma c’è una motivazione  più profonda nella vita di Paola : “avevo 23 anni ed era già mamma di una bellissima bimba di appena quattro mesi e mezzo. Improvvisamente avvertii dei problemi alla vista che man mano diventano sempre più seri fino a portarmi alla cecità. Ancora oggi non si riescono a comprendere le cause della mia malattia, comunque, allora l’oculista mi consigliò di non avere ulteriori gravidanze, in quanto affermava che ero giovane, che ci sarebbe stato tempo e che così sarei guarita. Ma dentro di me ho sempre saputo che non sarei mai guarita. Dopo un po’ di tempo scoprì di essere nuovamente in attesa e se pure non ero entusiasta non ho mai pensato di abortire”.  L’impegno a favore della maternità è stato anche supportato dalla sensibilità culturale e dalla formazione che negli anni la Paola Bonzi ha acquisito. In modo particolare agli inizi degli anni ottanta diventa consulente familiare. Di una cosa è fermamente convinta: “Per lavorare con le persone che vogliono abortire ci vuole un gran cuore, ma non solo. Occorre che ci sia anche un ulteriore strumento che è quello psicologico; per cui, fa bene averne voglia, fa bene poterlo fare, però incontrare una persona sconosciuta, che non hai mai incontrato prima e che probabilmente non vedrai mai più… il tutto solo all’interno di un’ora o di tre quarti d’ora necessita di un approccio consapevole. Bisogna essere volontari professionisti, se io incontrassi una donna e le chiedessi come mai vuole abortire, quella andrebbe direttamente ad abortire. Quindi, queste cose bisogna saperle fare”.

Un’oasi nel deserto

Il Centro Aiuto alla Vita Mangiagalli è una vera oasi nel deserto. La donna che oltrepassa la porta che da accesso ai locali concessi all’interno dell’ospedale si ritrova in un ambiente totalmente diverso da quello ospedaliero, spesso freddo e anonimo. “La nostra sede è arredata come dei salotti di casa. Le metto un po’ di musica per farla sentire come a casa e lei inizia a raccontarsi, a tirare fuori le motivazioni che la portano ad abortire e permette a noi di trovare le risposte adatte. Se ha sete è inutile che gli offro un piatto di pasta asciutta. Devo sapere, invece, la cosa che la fa stare male e in base ad essa, dare delle risposte complete. Esse sono sempre di tipo psicologo ma poi c’è bisogno di offrire loro risposte che sappiamo concretamente venire incontro alle esigenze della donna. Il più delle volte necessitano di un sostegno economico, la fornitura delle cose per la gravidanza, il corredino, le attrezzature per il bambino, il corso di preparazione alla nascita.

Nel 2000 il Centro Aiuto Alla Vita Mangiagalli si trasforma in un consultorio familiare autorizzato dall’Asl Città di Milano e convenzionato dalla Regione Lombardia denominato “Genitori Oggi”. Nella stessa strada che conduce all’ospedale Mangiagalli, via Della Commenda n° 37, c’è una magnifica struttura di circa 400 mq dove la donna e tutta la sua famiglia può trovare dei servizi utili e gratuiti per la sua formazione e il suo accompagnamento. “Non sapevamo come fare perché non c’erano i soldi e, a prescindere da questo, il CAV aiutava esclusivamente donne gravide non assicurando un’assistenza post partum. Mi chiedevo allora, ma una volta nati per questi bambini cosa facciamo? Da questi qui è nata la decisione di costituire un consultorio Familiare. Esso si occupa non solo di donne gravide, ma anche di altre persone che necessitano di un percorso psicologico individuale”.  Il 90% delle donne che si rivolgono al consultorio Genitori Oggi, accoglie la vita che porta nel grembo. Nel solo anno 2007 sono nati circa 900 bambini.  Quasi tutte continuano a farsi seguire dagli operatori. “Vengono una volta al mese per il colloquio. Tutto dipende dalla volontà della donna di usufruire o meno dei nostri servizi. Andare a casa delle donne è una cosa che noi non faremo mai, la persona che si muove per venire, se trova in lei una spinta interiore. È su questo che noi ci basiamo, ovvero sulle sue risorse personali, perché siamo coscienti di non poterla assistere per tutta la vita. Lei deve diventare autonoma, deve capire di avere delle risorse e su queste risorse deve basarsi per poter camminare con le sue gambe”.

È sorprendete quanto la tenacia e l’audacia di una donna possa fare, molto di più di un intero Stato con tutto le sue strutture pubbliche. Al di là della professionalità e della passione c’è la capacità di reperire fondi e metterli a disposizione per una causa in cui si crede. Sembra assurdo ma la vita di un bambino, la possibilità di evitare a una donna la ferita indelebile dell’aborto dipende in molti casi dai soldi. “L’anno scorso (2007), nonostante per qualche mese non abbiamo potuto aiutare le donne perché non avevamo i soldi, abbiamo speso 1.750.000,00 euro. Capirai che trovare questi soldi è davvero un’impresa perché nessuno ce li dà”. E una domanda ci viene da fare, quanto lo Stato in un anno mette a disposizione per aiutare le donne ad accogliere la vita che portano in grembo? Quanti milioni di euro invece si spendono per offrire loro il servizio dell’IVG?

In questi casi solo la Provvidenza è capace nei momenti più difficili di rendere possibile quello che davvero non si crede. Ci racconta Paola: “Dieci anni fa avevamo messo su una cooperativa sociale per aiutare le donne sole con bambini piccoli ad introdursi nel mondo del lavoro. Un giorno avevo bisogno di 30.000.000 delle vecchie lire per andare avanti, senza soldi non potevo far fronte alle esigenze delle donne, né tantomeno pagare le fatture. Bisognava chiudere. Prima di arrivare a questo abbiamo chiesto ad amici e parenti. Tre giorni prima di chiudere arriva una telefonata di una persona che ci dice: “Vi lascio una busta in portineria, passatela a ritirarla”. Andiamo a ritirarla e vedo Matteo – l’attuale presidente del Cav, ma allora semplice operatore in servizio civile – che apre questa busta e poi la richiude subito. Eravamo in macchina, lui mi chiede di fermarci per aprirla insieme. Ci fermiamo. Era agitatissimo e aveva paura di essersi sbagliato, tira fuori un assegno di £ 30.000.000. Esattamente la cifra di cui avevamo bisogno”.




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