Vecchie e nuove rivoluzioni

di Gianni Mussini

A dispetto dei vecchi slogan  e delle solite manifestazioni organizzate da 30 anni a questa parte dal fronte pro aborto, il popolo della vita in questi anni ha saputo riorganizzarsi facendo leva sulla solidarietà e sull’ascolto dei veri problemi delle donne. Sono nati così i Centri di Aiuto alla Vita e le tante manifestazioni che ogni anno danno voce alla cultura della vita.

Ricordo bene il clima degli anni Settanta, con quella società adolescente che faceva scorpacciate di diritti dimenticando spensieratamente i doveri; e sacrificava ogni etica  razionale all’altare della libertà e della spontaneità. Del mitico Sessantotto era rimasto soprattutto questo: una spinta tutta borghese alla glorificazione dell’Io, in barba a ogni idea di prossimo o (marxisticamente) collettività. Non per caso furono i radicali (cioè dei liberali senza ethos) a scrollare l’albero con i loro referendum. Gli altri – compreso il gran popolo cattolico (più o meno praticante) – subirono, incapaci di dare risposte nuove a una società nuova. Da questo punto di vista il Concilio, tutto al di qua dell’esplosione mass-mediatica, ignaro di internet e dei viaggi low-cost, nacque già vecchiotto nel linguaggio.

L’aborto, figuriamoci: se Io conta più di ogni cosa, anche e soprattutto di Dio, cosa volete che sia liberarsi di quel cosino lì, quel “grumo di sangue”, come si diceva. Tanto più che su queste cose lo sguardo dei conservatori era ovviamente almeno altrettanto ‘borghese’: l’aborto faceva comodo a tutti, non solo nella pratica (le povere donne del popolo con le loro mammane) ma anche nella teoria: “il corpo è mio e lo gestisco io” era certo uno slogan efficacemente volgare, ma anche celebrazione di quella nuova divinità che infatti avrebbe partorito presto giornali come “Io donna” e simili.

Il nostro imbarazzo fu di combattere a mani nude contro forze soverchianti, convinti che bastassero le categorie del bene contro il male e della ragionevolezza contro l’irrazionalità (ci aiutavano in questo grandi loici come Bobbio e Magris). Ci si accorgeva però che nuovi idoli trionfavano, gridando a gran voce che non l’etica guida il comportamento, ma questo quella: faccio dunque sono…

Il Movimento per la vita fu eroico nel difendere, con quelli della ragione, i diritti stessi della laicità dello Stato, che deve essere autonomo dalla religione ma non dalla morale e deve garantire i diritti di tutti, concepiti e già nati, non solo quelli dei più forti e dei più grandi.

La sconfitta nel referendum del 1981 (promosso non da noi ma dai radicali) non fu però una catastrofe. Ci riorganizzammo facendo leva soprattutto sulla risorsa primaria su cui possono specialmente contare i credenti: la carità nutrita dalla preghiera. Ecco il prodigio di centinaia di centri di aiuto alla vita (CAV) nati dal nulla e via via organizzatisi in forme sempre più efficaci e persino sofisticate (anche grazie a diverse iniziative collaterali promosse dal Movimento per la vita: progetto Gemma, numero verde 8008 13000, ecc.). Di qui il miracolo di oltre settemila bambini strappati ogni anno all’aborto e di altrettante madri restituite alla loro felicità più vera.

Ma il miracolo dei CAV fu anche altro. Come l’aborto si era diffuso per una strategia culturale inscritta nel cuore di ognuno (il “potere reale” di cui parlava Pasolini era in fondo proprio quella glorificazione dell’Io che tutti ci tenta), così la battaglia della vita andava giocata anche su questo terreno. I CAV hanno fatto da moltiplicatore vivente di questa nuova cultura della vita, capace di dire la verità sul concepito senza giudicare la donna tentata di abortire. Ma ecco anche la necessità di dare una voce autorevole a questa cultura, come abbiamo fatto con diverse iniziative editoriali e multimediali (Lucia Barocchi ci ha ripetuto in più lingue la meraviglia della vita umana).

Personalmente, ho promosso la raccolta di alcune testimonianze dai nostri CAV raccogliendole nel volume Vite salvate e affidandone la prefazione proprio a Claudio Magris, che ne favorì poi la diffusione sulla grande stampa. Un altro penso che mi è capitato sulla testa è l’organizzazione dell’annuale festival musicale Cantiamo la vita, che ha visto partecipare – insieme a giovani di belle speranze – anche grandi star dello spettacolo, da Ron e Nek, sino ad Alexia, Povia e Ivana Spagna, per citarne solo alcuni. Con loro anche grandi testimoni di una cultura per la vita come per esempio don Benzi e don Mazzi, sino a Pupi Avati e al prof. Vescovi. Abbiamo curato molto, per questo evento, i rapporti con le grandi emittenti televisive. Se infatti l’obiettivo deve essere quello di fare avanzare sempre, anche di un solo millimetro al giorno, una cultura rispettosa della vita, ecco la necessità di rivolgersi al vasto pubblico, in un rinnovato spirito missionario che sappia suscitare interesse e simpatia. “Siate contagiosi, non persuasivi”, ammoniva Claudel.




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