Senza famiglia, senza futuro

di Eugenio ed Elisabetta Di Giovane

A volte guardando l’Italia da “così lontano”, ci sorprendiamo di molte cose. Ultimamente ci ha fatto molto effetto la polemica sulla famiglia e sui suoi nuovi modelli che alcuni vorrebbero proporre. Senza entrare nel merito di scelte o prese di posizioni “politiche”, ci piace far osservare che in America Latina alcuni problemi, come quelli della violenza e del disordine sociale, sono spesso imputati all’assenza della famiglia, sia come modello di micro organizzazione sociale che come luogo di crescita e maturazione umana. In Italia sembra che troppo spesso vengano proposti modelli di famiglia “alternativi” o politiche sociali che certo non aiutano la famiglia, ed il buffo è che ciò che qui viene vissuto come la causa principale delle problematiche sociali, in Italia è presentato come emancipazione sociale o addirittura come l’affermazione di diritti civili. Vi raccontiamo la storia di un bimbo che ci ha rubato un pezzettino di cuore, una delle tante storie che hanno come comune denominatore l’assenza della famiglia.

Ivan ha 5 anni, vive in una casetta con il pavimento metà in cemento e metà in terra, senza vetri alle finestre, senza una sedia o un tavolo o un letto; sua madre, 29 anni, ha già altri tre figli (ed è nonna grazie alla figlia maggiore di 14 anni che le ha dato un nipote), avuti ognuno da un padre diverso, che vivono con parenti vari. Ivan e’ l’unico che le resta, ma lei un giorno di giugno ha chiesto ad Elisabetta se poteva fare in modo di internarlo da qualche parte, o anche di prenderlo a casa nostra, qualsiasi cosa pur di liberarsene. Allora Elisabetta ha contattato i servizi sociali, con cui siamo andati a visitarla per capire come mai volesse liberarsi del figlio. Le ragioni sono tante: molta ignoranza (non sa leggere, ne’ scrivere ne’ firmare), un passato difficile (anche lei abbandonata dai genitori e cresciuta con una nonna), il rendersi conto di non volere ne’ sapere fare la madre e, ragione questa più pressante, il fatto che l’ultimo uomo con cui viveva, di 60 anni, non tollerava Ivan per il semplice fatto di esistere; e così quando si svegliava la mattina e lo vedeva lo picchiava con una cinghia che e’ più grande di lui, perché non lo voleva tra i piedi; e lei non lo difendeva per paura di essere a sua volta maltrattata. Quando mi ha descritto come era Ivan mi ha detto che era troppo vivace e maleducato: noi abbiamo conosciuto un bimbo con due occhi grandi e dolcissimi che tutte le volte che ci vede salta al collo di Elisabetta e l’abbraccia, ha tanta voglia di parlare e non sta fermo un attimo. All’asilo non andava, perché non l’hanno iscritto; passava le sue giornate nel pezzettino di strada davanti casa dove ascolta ragazzini più grandi di lui dire un sacco di volgarità. E quando la mamma usciva di casa lo chiudeva a chiave perché così’ “è al sicuro”, diceva lei, solo tra quelle quattro mura, senza ovviamente ne’ un gioco ne’ una televisione. Un mese fa il patrigno è morto improvvisamente e dopo pochi giorni la mamma si è messa a convivere con il figlio di lui, un uomo di una quarantina d’anni, che, così facendo, ha a sua volta abbandonato 9 figli, già orfani di madre, al loro destino. In questo passaggio si sono perse le tracce di Ivan che sembra essere tornato da suo padre naturale, un giovane che spaccia droga e gliela offre, a soli 5 anni.

Questa, che sembra la trama di una telenovela, è la vita dei poveri dei nostri barrios, questo può essere il destino quando alle spalle non c’è un modello di famiglia cristiana.




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