Sulla famiglia l’ombra della povertà

di Alfredo Cretella

Un’attenta analisi su come la società civile e ultramoderna non considera la famiglia come il soggetto da tutelare, specie se ci sono più figli.

Di famiglia, negli ultimi tempi, in particolare, se ne è parlato sin troppo: non c’è stata testata giornalistica, ma anche emittente televisiva e radiofonica, che non abbia mostrato serio interesse per l’argomento, invitando i demiurghi di turno a fare l’analisi di un fenomeno, che all’apparenza sembra interessare quasi tutti. Ma il punto è: interessa davvero? Per tentare una risposta, crediamo che un’ottima cartina di tornasole possa essere ilfattore D, se per D si intende denaro, visto che in una realtà come la nostra, intendo quella invalsa nell’occidente modernizzato, tutto, anche moglie, marito, compagna, compagno, figli e figlie, si misura coi soldi! Sappiamo come la società contadina, vedeva i figli come braccia in più da portare ai campi, o al fronte. La società ultramoderna ci propone, invece, ma è forse più corretto dire che ci impone, un modello in cui i figli non sono una risorsa, nè per i genitori, nè per la collettività, quanto piuttosto un bene di lusso, un accessorio, che serve per impreziosire la propria vita. Il figlio trofeo, il figlio status symbol è “un costo”, per chi lo genera e per nessun altro, come il SUV, la vacanza ai tropici e la settimana bianca.

Purtroppo, pare che sia anzitutto l’atteggiamento del genitore di oggi, ad essere radicalmente cambiato rispetto a ieri: i figli fanno parte,  sono il completamento di un progetto di vita, per dei genitori, che sono tuttavia presi da altre mille forme di impegni e di interesse. È certamente cosa buona, che una maggiore cultura, da parte della nuova generazione, ha fatto sì che alcuni stili di vita fossero definitivamente abbandonati: nell’attuale paniere, che conforma la qualità della vita, sono uscite alcune voci, come risparmio, ed accumulo esasperati, casa in città, casa al mare, terreni ed investimenti, per entrare quello di vacanze, gite fuori porta, uscite con amici, attività ludiche e sportive; soldi quindi, da spendere oltre che per i figli, anche e soprattutto assieme ai figli.

Il costo di un figlio

È già la seconda volta, a mia memoria, negli ultimi mesi, che i tg nazionali sventagliano i risultati di presunte indagini, svolte a livello, nazionale, su quanto costerebbe (ovviamente in termini monetari) allevare un figlio fino a 18 anni.

È proprio il caso di dire che le cifre, elevatissime e spropositate, (l’ultima è di ben € 300.000) vengono sparate come vere e proprie palle di cannone.

Una cosa è certa, si crea un evidente allarmismo, che diventa sindrome da consumo, in chiunque si interroga su quanto e cosa abbia fatto mancare ai propri figli rispetto alla “media nazionale”.  Non è il consumismo in sé il male, ma l’aspetto estremo con cui viene interpretato oggi giorno. Il cd. effetto paragone, che porta il vicino a desiderare di comprare l’auto più bella che ha quello di fianco, o a fare la casa con le stesse rifiniture, o a mandare i figli nella stessa palestra alla moda, o ad acquistare lo stesso paio di scarpe, è il vero male sottile dell’uomo qualunque, che pensando di poter vivere senza misura, si sta rendendo conto, a proprie spese, che sono gli altri a prendergliele, suo malgrado. È di solare evidenza che la percepita necessità di accedere ad una categoria di beni e servizi, che non sono alla portata del proprio portafogli, crea prima poveri virtuali e poi poveri reali. Ovvio che il quadro sopra delineato vede come parte soccombente del circolo vizioso, prima ed anzitutto la famiglia! In un sistema che tende a farti spendere almeno tutto ciò che guadagni, oltre ed in certa ulteriore misura ciò che guadagnerai, non è sufficiente nemmeno lavorare in due, se a contribuire alla spesa si aggiunge il figlio, che è anche il più esigente; peggio che andar di notte, se poi ne arriva un altro, accettato con piacere, sempre più di rado, in alcune aree del nostro paese, per il terzo e via di seguito, proprio non c’è spazio: la gestione è già fallimentare con due!

Il problema finanze

Inoltre è facile accorgersi che i vari e molteplici interventi, in materia economica, che nel corso degli anni sono stati fatti in tal senso, hanno avuto riguardo più il singolo cittadino, inteso come individuo, che non come facente parte di quella primigenia formazione sociale che è la famiglia. La riprova di quanto dico la si può trovare tutta quanta nella parte più sensibile della cosa pubblica: la finanza. È incredibile, ma vero, eppure ancora oggi, dopo i numerosi e sbandierati annunci pro famiglia, la tassazione dei redditi prodotti dai lavoratori e quindi il prelievo di una quota parte delle somme prodotte per vivere, avviene secondo dei criteri che equiparano tutti i lavoratori, agevolando solamente, senza concretamente tener conto del suo peso specifico, il soggetto famiglia.

Eppure, c’è un’abissale differenza tra chi produce reddito, solo per se stesso, e chi invece lo fa per sé e per sua moglie, che è rimasta a casa per allevare i figli, nonché per questi ultimi; nel primo caso la somma serve per soddisfare le esigenze di una sola persona; nel secondo caso, la somma deve essere divisa per le esigenze di tre, quattro o cinque persone. Di conseguenza, il criterio della tassazione progressiva, in sé condivisibile, perché è certamente giusto che chi più è capace, più deve contribuire, in nome di un principio di solidarietà terrena sacrosanto, dovrebbe essere adeguatamente corretto e capovolto, quando ad essere tassato è un capofamiglia, il cui nucleo familiare è composto da moglie e due, tre, o quattro figli.

Mi spiego. Anzitutto, il reddito tassabile, ai fini della progressione dell’aliquota, dovrebbe essere costituito non da una somma unica, ma dal quoziente che deriva dividendo tale cifra per il numero dei componenti il nucleo familiare. Inoltre, l’aliquota dovrebbe essere tanto più bassa, quanto più il nucleo familiare è numeroso; di modo che a parità di reddito, è tenuto a contribuire di più chi ha meno figli e quindi meno impegni privati. Ciò rispondere  ad una evidente esigenza di giustizia sostanziale, posto che un reddito distribuito in un nucleo familiare folto, si traduce in una disponibilità economica, per ogni componente dello stesso, minore rispetto alla disponibilità che ha un nucleo familiare più striminzito.

Questo comporta che a parità di reddito e di aliquota, pur applicando il quoziente familiare, chi ha tre figli, disporrà per ogni figlio, ovviamente, di una somma minore, rispetto a chi ne avrà uno; con la conseguenza che la percezione effettiva di povertà per la famiglia più numerosa, con un reddito pro-capite più basso, sarà proporzionalmente più elevata di quella della famiglia meno numerosa. Mettere tutti sullo stesso piano, significherebbe, appunto, in questo caso distribuire su tutta la comunità civile e non sulla sola famiglia le diverse e maggiori esigenze dei suoi componenti. Viceversa, con le attuali addizionali Irpef regionali e comunali, ed il passaggio dal sistema delle deduzioni, a quello delle detrazioni, a parità di reddito, una famiglia con quattro o più figli paga le stesse addizionali di un single o di una coppia senza figli; ma, ovviamente, il reddito disponibile pro-capite non è certo lo stesso.

I figli come costo sociale

Dietro il caso più eclatante ce ne sono diversi altri, di minore presa, ma non per questo meno eloquenti. Per esempio, sulla stessa logica di fondo, anzi ancor più gravosa, si assesta il criterio col quale attualmente vengono applicate le tariffe per il consumo di energia elettrica, acqua, gas, visto che la tariffazione avviene per scaglioni, di modo che ad un consumo crescente (necessario per le famiglie, specie numerose, rispetto aisingles), corrispondono oneri tariffari sempre maggiori. Altro esempio di come non si dia alcun conto alla necessità di assumere i figli come costo sociale, oltre che (ovviamente) personale dei coniugi è dato dallacertificazione ISEE; infatti, ai fini dell’Isee, il totale dei redditi e del patrimonio mobiliare e immobiliare viene diviso per un coefficiente, in base al quale il primo figlio ha un valore di 0,47, il secondo 0,42, il terzo 0,39, e dal quarto in poi 0,35. In Italia il valore dei figli è decrescente, al contrario di altri Paesi, come la Francia.

Volendo fare una lettura di tutto quanto detto, con un ausilio grafico, si può fare ricorso ai risultati di uno studio pubblicato solo poco tempo fa sul Libro Bianco del Welfare e dal noto quotidiano IL SOLE 24 ORE. La lettura delle diverse tabelle pubblicate, aiuta a comprendere, con assoluta immediatezza, che l’incisione sul reddito, arriva ad essere del 50%, quando i figli sono tre; tale stima, inoltre, è stata fatta considerando le economie di scala virtuose, con l’aumentare del nucleo familiare, che tuttavia, non sono del tutto realistiche con il netto cambiamento dei comportamenti, a cui si sta assistendo in questi ultimi anni.

Un esempio per tutti. Una volta, non era assolutamente in discussione che se una famiglia poteva permettersi la vacanza, tutti andassero nello stesso posto, locando un residence, o un appartamento (almeno questo nella media dei casi) beneficiando della sopra citata economia di scala. Oggi, invece, i figli avendo assunto maggiore consapevolezza dei propri gusti personali ed esigenze di vita, chiedono ai propri genitori sempre più presto di vivere i giorni di vacanza come occasione per esprimere la propria personalità e libertà, possibilmente e sempre più spesso lontano da loro, con compagnie diverse. È chiaro che in questo caso, non vi è alcuna economia di scala applicabile.




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