Un paese che cresce in fretta

di Silvio Longobardi

L’Ucraina è un paese che sta vivendo un tempo di forte rinascita sociale e spirituale. Ma sono ancora tante le emergenze da affrontare: in primis quella dei 200mila minori senza una famiglia.

L’Ucraina è un paese che cresce in fretta, dopo decenni di forzato immobilismo. Anche la Chiesa Cattolica, che qui conta 7 milioni di fedeli, vive una fase di grande sviluppo. Vent’anni fa, ci dice mons. Stanislav Szyrokoradyuk, c’era una sola cappella in tutta la capitale (4 milioni di abitanti), oggi ci sono 8 parrocchie. Nella sola cattedrale ogni domenica passano almeno 1000 fedeli. Durante gli anni del comunismo c’era un solo vescovo che operava segretamente, oggi la Chiesa latina può contare su 12 vescovi e una struttura piuttosto articolata. I seminari maggiori sono 3, duecento i seminaristi. Sorride, mentre  snocciola questi numeri. Monsignore Stanislao ha solo 50 anni, da 13 è vescovo ausiliare di Kiev e responsabile della Caritas nazionale, segue da vicino tutta l’ampia attività caritativa della diocesi e dell’intera Ucraina. Sa bene che la Caritas svolge un ruolo importante in un Paese che esce dal tunnel di un regime che ha soffocato l’imprenditorialità ed ha lasciato tanta povertà. Ordinato prete negli anni bui, quando i cattolici venivano guardati con sospetto, ha visto con speranza la nascita della perestroika ma neppure poteva immaginare che di lì a pochi anni sarebbero crollati i muri e il Paese avrebbe acquistato un’insperata libertà. È ottimista pur sapendo che i problemi sono tanti. E tutti da affrontare con decisione, se si vuole evitare altre e più devastanti rovine sociali.

Un ambito che gli sta particolarmente a cuore è quello dei minori. La realtà, lo dice è subito, è drammatica: sono 200mila i minori orfani o abbandonati. Le statistiche ufficiali, spiega, parlano di 120mila ma si tratta di una stima per difetto. Lo Stato ha tutto l’interesse a negare che questo dramma presenta  proporzioni così ampie. È la conseguenza di una cultura che per decenni ha plasmato la mentalità. Nelle parole del vescovo c’è amarezza nel pensare ai tempi passati, al tentativo di sradicare la coscienza religiosa. Lui conosce bene quel periodo in cui lo Stato considerava i figli sua proprietà, se ne occupava fin dalla culla. Le famiglie sono state espropriate di ogni responsabilità. La miseria e l’alcol fanno il resto.

Non è facile intervenire in un contesto sociale che presenta ferite così profonde. Lo Stato cerca di fare la sua parte. Per ora ci sono le leggi che invitano gli enti locali ad attivarsi per dare ai minori la speranza di un futuro. Viene chiesto di promuovere la tutela (che corrisponde al nostro affido) e le case famiglia, sia quelle più piccole (dove trovano spazio quattro minori) che quelle più grandi, dove i bambini accolti possono arrivare fino a dodici. Sulla carta è preferibile fare spazio alle case famiglie. Ma la realtà è ben diversa. La scarsità delle risorse pubbliche e tanti altri ostacoli di ordinaria burocrazia impediscono di dare un adeguato sviluppo a questa forma di accoglienza certamente più adatta alle esigenze del bambino. La parte da leone continuano a farla gliinternat, istituti statali che hanno una capienza molto ampia, in qualche caso accolgono fino a trecento bambini. Da qualche anno sono nate anche le case famiglia, piccole strutture di tipo familiare che accolgono da 4 a 12 minori. Una risposta innovativa, senza dubbio, ma si tratta ancora di piccoli numeri che non riescono neppure a scalfire il muro di un sistema sociale che chiude i bambini in istituti che non possono trasmettere il calore di un affetto.




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