Dinamismo missionario

di Eugenio ed Elisabetta Di Giovane

Le famiglie cristiane, “chiese domestiche” (cfr. LG 11), dovrebbero essere sempre scuole di comunione e accoglienza. La comunione familiare non deve essere una comunione chiusa in se stessa altrimenti sarebbe egoismo “di gruppo”. Deve essere aperta agli altri: una comunione che si amplia in cerchi sempre più ampi: le altre famiglie, il territorio, il mondo. In questa dinamica nasce anche quel “dinamismo missionario” che se riscoperto può rinnovare la Chiesa e la sua missione nel mondo moderno.

Per noi “essere comunione” e “fare comunione” significa sopratutto accogliere. Seppur nel rispetto dei tempi della famiglia e delle sua priorità, la porta della nostra famiglia è sempre aperta soprattutto verso quei soggetti più deboli e bisognosi di affetto ovvero i bambini.

C’è un accoglienza organizzata, per esempio con i bambini poveri del progetto del recupero scolastico dove ci sono orari ed attività strutturate. C’è poi un accoglienza più complessa relativa a tutte quelle volte che un bimbo bussa alla porta con le scuse più disparate solo per essere oggetto di attenzione e magari di affetto. Capita quindi che nel mezzo del pranzo suoni Angelica, per chiedere che ore sono (perché non ha l’orologio) e che una volta ascoltato l’orario rimane li fissa davanti a noi desiderosa di fare altre domande per “aumentare” il tempo passato insieme. Oppure nel bel mezzo di un lavoro bussa Cesar con sua sorella Elenitza per chiederci cosa stiamo facendo, dove sono le bimbe, come stanno le bimbe, e così via. A volte costa lasciare tutte le occupazioni per dare attenzione a questi bimbi.

E grande è anche la tentazione di sgridarli per insegnarli che non si suona il campanello tanto per suonare. In verità poi anche quando siamo proprio arrabbiati quegli occhi ci comunicano un bisogno di affetto ed attenzione che non sono altro che il mezzo di cui Dio si serve per saggiare la nostra capacità di accogliere. Un’ accoglienza che poi diventa comunione quando da quelle insignificanti domande iniziali prende quota un dialogo più profondo che racconta storie di violenze, abbandoni ed incomprensioni che fanno di quei piccoli bimbi dei “mendicati di amore”.

Noi poi proviamo a trasportare questo stile di “accoglienza – comunione” anche nel nostro essere “famiglia – piccola chiesa domestica”, nelle relazioni tra di noi, tra marito e moglie e tra genitori e figli. Tra molte difficoltà infine cerchiamo di relazionarci con queste dinamiche nel mondo, sia nelle relazioni sociali che in quelle pastorali. Ed è lì, nel campo pastorale, che verifichiamo la bontà e la profezia di uno “stile missionario” nell’animare una comunità.

Uno stile che prevede un’animazione comunitaria della comunità cristiana e che si basa sull’accoglienza generosa dell’altro. Ancora una volta i bambini, e di bambini più poveri e sfortunati, ci insegnano uno stile che altrimenti nessun libro avrebbe mai potuto spiegare, una accoglienza che diventa comunione ed una “comunione accogliente.” Ci fanno anche capire le suggestive parole di Gesù: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà”.




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