Diventare santi insieme

di Marco e Patrizia Rena

Parlare di santità ci è sembrato immediatamente impegnativo e ancor più impegnativo parlare di santità coniugale. Per farci coraggio abbiamo pensato che, ancora una volta, eravamo semplicemente chiamati a raccontare Dio dentro la nostra vita, fatta di esperienze, ma anche del senso che, attraverso l’ascolto della Parola e delle umane parole, cerchiamo di attribuirle.

Ci è sorto quasi spontaneo, all’inizio, interrogarci sull’origine e quindi sul significato etimologico della parola “santità”, ma questo non è servito a chiarirci le idee come forse ci aspettavamo… Si può immaginare un certo nostro sconforto quando il nostro consigliere spirituale ci ha ricordato che lo stesso S. Tommaso, nella sua Summa Teologica, ha dedicato alla santità uno spazio davvero ridotto, parlando di “orientamento a Dio”, quasi consapevole di addentrarsi in un terreno impervio.

Un contesto in cui, per noi cristiani, è assolutamente necessario addentrarci e confrontarci è quello dell’ebraismo, perché il primo testamento rimanda con forza a questa idea. La santità, qui, coincide spesso con la sacralità, uno stato di purezza, di non contaminazione che viene dal distacco, dalla separazione rispetto a tante espressioni e forme dell’umana realtà. Noi però sappiamo come Cristo intervenga a capovolgere questa logica: è “secondo Dio”, a Lui orientato, chi abbraccia l’uomo prima di qualsiasi altro culto, gesto religioso, ecc., chi si ferma a soccorrere l’altro, chi non teme di sporcarsi con le umane ferite. Cristo stesso non ha temuto di compromettersi con l’umanità incarnandosi, com-patendo l’umana esistenza fino alla morte e alla morte in croce. Lui, senza peccato, ha accolto una morte riservata ai peggiori malfattori per guadagnare a tutti la resurrezione. Cristo si è veramente fatto testimone di un modo nuovo di tendere a Dio, di offrire un sacrificio gradito nell’amore per i Suoi figli.

Come tutto questo possa essere in concreto praticato, e praticato in coppia, non è facile a dirsi. Ci pare addirittura impossibile senza Cristo in mezzo, senza richiamarne continuamente la presenza tra di noi. Come accogliere gli eventi esterni, le situazioni che ci assediano, ci interpellano… Come accogliere tante richieste di figli, genitori, amici, semplici conoscenti… Come capirci e accoglierci a vicenda in coppia senza che la tentazione di “tirare diritto”, diretti verso chissà quale culto (il lavoro, la casa…), verso chissà quali inderogabili priorità che hanno bisogno di tutto il nostro essere separandolo dagli altri. Quante sono le cose che ciascuno ha da fare, anche belle, legittime, gratificanti, ma che non sono esaurienti. Basta un imprevisto, un dolore inaspettato e inspiegabile, un fallimento in un progetto fatto, una delusione rispetto ad un figlio, ad un amico, allo stesso coniuge e la bussola è persa, l’orientamento pregiudicato.

Per noi équipiers è emblematico di un modo di procedere nella vita il passo evangelico dei discepoli di Emmaus. Essi erano appunto in due, lungo la strada che si lascia alle spalle Gerusalemme e va verso il villaggio di Emmaus. Discutevano. Di quanti passi e di quante discussioni è piena la nostra vita di coppia! Poi si affianca uno sconosciuto, che pare non sappia come va il mondo e come sono andate le cose a Gerusalemme pochi giorni prima… Ma quando comincia a spiegare le scritture, a dare senso a eventi apparentemente incomprensibili, e alla fine resta a spezzare il pane con loro e per loro, capiscono che devono tornare a Gerusalemme, devono riorientarsi a Dio.

Chi vive in coppia conosce tutta la fatica e la bellezza di questi itinerari. Sa che prendere, e riprendere, ciascuno il passo dell’altro è vitale per procedere nel cammino: non si può tornare a Gerusalemme ciascuno per conto proprio.

I discepoli di Emmaus non lo fanno.

Come coppia non ci sentiamo chiamati ad un generico, soltanto personale, orientamento a Dio, ma ci sentiamo orientati vicendevolmente verso Dio attraverso Cristo. Ciascuno di noi, all’interno della coppia, deve sentirsi il primo samaritano dell’altro, soccorritore o soccorso a seconda dei momenti, disposto a dare, ma anche a ricevere, riconoscendosi ricco di povertà.

Ci sembra che la chiamata alla santità coniugale possa, in qualche modo, consistere in questo: capire a quale Amore siamo chiamati e tendervi, capire quale amore dobbiamo incarnare, quali culti egoistici e personalistici dobbiamo abbandonare, quale esercizio costante di unità nella diversità dobbiamo fare. Per essere santi, orientati a Dio sempre, non possiamo considerare un optional sentirci “insieme”, felici insieme, e insieme rivolgerci agli altri, ai figli, ai genitori, a chi ci conosce bene e a chi non ci conosce affatto, anche là dove ciascuno è dedito al proprio lavoro, a interessi e frequentazioni personali. Confessiamo che, dove si vive una coniugalità, faticosamente, ma costantemente e felicemente ricercata da entrambi, ci fa problema credere che possa santificarsi uno solo nella coppia…

Così ci piace chiudere con il ricordo di una delle rare coppie di sposi giunte insieme fino agli onori degli altari: si tratta dei coniugi Beltrame Quattrocchi e dell’immagine che li ritrae, non più giovani, ma stretti sotto braccio e incamminati nella direzione di Dio.




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