Totus tuus

di Przemyslaw Kwiatkowski

Il primo maggio, festa della Divina Misericordia, papa Benedetto beatificherà il suo predecessore: il nostro amato Giovanni Paolo II. abbiamo chiesto a don Przemyslaw Kwiatkowski, docente presso l’Istituto Giovanni Paolo II, di tratteggiare un profilo di Karol Wojtyła attraverso le parole che egli scelse come slogan del suo pontificato e come sintesi  di tutta la sua vita: “Totus tuus”. 

“Io sono tutto tuo e tutto ciò che è mio è tuo /Ti accolgo come ogni mio bene/Offrimi il tuo cuore, o Maria”. È da quella particolare preghiera, formulata da L. M. Grignion de Montfort, che è nato il motto “Totus Tuus” che ha guidato e determinato la vita di Giovanni Paolo II. In esso ritorna l’eco del mistero, della verità e dell’esperienza di cui è intessuta la Parola di Dio, ad ogni pagina della Bibbia e della vita. Pur essendo così concise, quelle due parole riescono a far risuonare insieme ciò che Cristo ha rivelato: “Io e il Padre siamo una sola cosa” (Gv 10, 30), e ciò che Egli ha compiuto: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23, 46). Allo stesso tempo, esse riprendono il cantico dell’umanità e della Chiesa: “Io sono del mio amato e il mio amato è mio” (Ct 6, 3); realizzano ciò che Maria ha accolto e offerto, dicendo: “Eccomi, sono la serva del Signore” (Lc 1, 38); nonché rivivono la confessione di Paolo: “Nella vita e nella morte apparteniamo al Signore” (Rm 14, 8).

Certamente, se quel motto è in grado di dire qualcosa, lo è solo perché è stata prima di tutto la vita di Giovanni Paolo II a parlare. Il suo “Totus Tuus” testimonia in primo luogo la fondamentale relazione con Dio al quale, nel senso profondo del termine, ci si dà del Tu. È un’intimità molto eloquente, in cui l’uomo risponde a Colui che per primo l’ha chiamato per nome, avendolo voluto e amato. Questa vicinanza svela la vocazione dell’uomo ad entrare nella comunione con Dio, ovvero a partecipare alla comunione che è in Lui. Da un “darsi del tu” sorge un “Io sono tutto Tuo”, la verità che racchiude l’origine dell’uomo e segna il suo compimento. Il dono primordiale crea una stretta appartenenza e conduce l’uomo a fare di sé un dono. Dio che si offre totalmente, non desidera che l’uomo Gli dia qualcosa né che Gli dia tanto, ma attende appunto che l’uomo doni se stesso, e che lo faccia senza riserve.

L’invocazione “Totus Tuus” di Giovanni Paolo II è fortemente radicata nell’opera di Cristo che, vivendo la communio con il Padre nello Spirito Santo, si è consegnato alla Chiesa, suo Corpo e Sua Sposa. Uno sguardo alla vita di Karol Wojtyła permette di intuire quanto egli sia rimasto legato al mistero del Verbo fattosi carne, che passa per il cuore e per il corpo di Maria, trovando la Vergine fedelmente unita al suo Figlio e Redentore nel cammino pasquale. Il “Totus Tuus” della Madre di Dio, vissuto a Betlemme, Nazareth, Cana e Gerusalemme, ha continuamente portato Giovanni Paolo II a prenderla nella sua casa (cfr. Gv 19, 27), per abbandonarsi con Lei all’unico Amore e Amato. Nelle parole: “Io sono tutto tuo, Maria”, pronunciate sin dalla primavera della vita, Wojtyła ripeteva sempre: “Io sono tutto Tuo mediante l’Immacolata”, come lo scrisse già da Papa nelle ultime righe del suo testamento.

Ciò che colpisce, è che un tale fidarsi e donarsi del Venerabile Servo di Dio nacque sì in ginocchio davanti a Dio che è Amore e Misericordia, ma anche in ginocchio di fronte all’altro, nell’incontro con l’amore umano, dinanzi al mistero dell’uomo e della donna. Giovanni Paolo II ha saputo percepire e testimoniare che, secondo il disegno di Dio, l’essere e l’amore di ogni persona trovano la propria via e il contenuto nel donare se stesso, e quindi in un certo “totus tuus” dell’uno all’altro. Ed è lì, in un quotidiano dono di sé, che si vive l’autentico “Totus Tuus”, riconoscendo nel volto del fratello Dio stesso che ama e vuole essere amato.

Questa verità che porta un chiaro segno dell’amore sponsale, filiale, paterno e materno, si realizza nei diversi stati di vita e in varie situazioni concrete. Tuttavia, essa trova la sua peculiare  dimora nel sacramento del matrimonio e in famiglia. Infatti, una delle più grandi profezie di Karol Wojtyła è stata quella di dire ad alta voce che il donarsi di sposi, genitori e figli, rappresenta il primo santuario e la prima scuola del vero “Totus Tuus”. L’insegnamento e i gesti di Giovanni Paolo II ci interpelleranno sempre, ricordando che la famiglia diventa una Chiesa domestica solo quando è sempre più se stessa: nell’Eucaristia celebrata e vissuta, nella corporeità e nella spiritualità, nel dialogo e nella sessualità, nella paternità e nell’educazione, nel lavoro e nel riposo, in ogni stagione della vita. Infatti, essere se stessa per la famiglia non significa altro che essere a immagine di Dio, cioè essere davvero santa.

Devo dire che, dal momento in cui ci è stata resa pubblica la decisione del Santo Padre Benedetto XVI di proclamare Beato, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II, non mi abbandona una forte convinzione che l’evento della sua beatificazione, che avrà luogo il prossimo 1° maggio, è molto legato, per così dire, al divenire beati di ciascuno di noi. Per lui diventare Beato significava incarnare il “Totus Tuus”. Credo che la vera beatitudine – di ogni uomo e donna, di vergini e sposi, di coppie e famiglie, di chi è vicino e di chi sembra essere più lontano, di chi corre e di chi zoppica – consista appunto nell’incarnare l’amore divino nell’amore umano, nella bellezza e nel realismo di “Io sono tutto tuo”, “Noi siamo tutti Tuoi”.




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