Natale

Vi racconto il mio viaggio in quella notte santa

Gesù Bambino - Natale

di Ida Giangrande

Vi racconto un viaggio, il mio viaggio nel mondo del presepe. Io spettatrice esterna ma non estranea, all’evento che ha diviso in due la storia dell’uomo. Non c’è mai stata notte che abbia fatto da cornice ad una storia così luminosa come quella in cui è nato Gesù. La più bella che sia mai esistita. La notte di Natale.

I miei occhi si alzano verso il cielo in questa notte silenziosa. Non ci sono rumori, tutto tace avvolto da una strana atmosfera. La definirei magica, soave sembra sentire il lontano eco di un coro d’angeli, un ritmo serafico che spira tra gli alberi e sospira sui tetti delle case. La neve si fa calda, una colata di ovatta spumosa che ricopre le montagne, le vallate e si appoggia con delicatezza finanche sulla superficie della acque. Ogni rumore è spento, avvolto in un mistico, estasiante silenzio.  Alzo gli occhi in cerca delle stelle e ne vedo a migliaia di migliaia in un cielo terso, limpido. Pulsano al ritmo dei battiti di un cuore, appuntate in quel drappo di velluto blu che stanotte sembra essere più vicino. È l’immensità del cielo che diventa tutt’uno con la terra. Mi sembra di sorvolare il paesaggio dove l’umanità lotta e soffra come se qualcuno mi tenesse sospesa in un volo di perlustrazione e guardo le tenebre squarciarsi mentre una luce si dilata all’infinito per andare a racchiudersi in una stalla, una mangiatoia dove giacciono un bue e un asinello, lasciati lì da chissà quale pastore. Ce ne sono tanti lì intorno di pastori, e uno è proprio poco lontano dalla stalla, dorme beato, accanto alla sua pecorella, simbolo di un’umanità inconsapevole, dormiente, che non può capire, non può sapere cosa sta accadendo. Si dice che gli animali siano i primi ad avvertire il movimento degli astri, la misteriose dinamiche del sistema solare, e la pecorella improvvisamente agitata, lo sveglia. Un belare nervoso, concitato o semplicemente eccitato. Il pastore rinviene di scatto richiamato dal pianto di un bambino. Si solleva sulle ginocchia e poi raggiunge la stalla correndo, ma quando vi è vicino si sofferma incerto: non è possibile che una donna abbia partorito proprio lì, in un posto così inadeguato ad accogliere un neonato. Eppure lei è lì, una giovane fanciulla ancora dolorante che tiene tra le braccia il suo bambino. Lo ripulisce grossolanamente e poi lo ripone in una culla improvvisata con fieno, paglia e il mantello dell’uomo che è con loro. Il pastore la osserva costernato: mai aveva visto sguardo di madre più stupito e smarrito, un miracolo che sembra aver sorpreso anzitutto lei, proprio lei che lo aveva portato nel grembo per nove mesi. Accanto a loro, la figura affaccendata e preoccupata di un uomo. Forse il padre della creatura, ha la fronte imperlata di sudore e le labbra secche: non deve essere stato facile per lui assistere al parto di sua moglie in una condizione come quella. Non era certo un lavoro da uomini quello! Ci sarebbe dovuta essere una levatrice o almeno una donna più anziana accanto alla giovane madre che è lì ancora tremate e scossa per il parto e invece c’era solo lui. Solo lui. Deve aver avuto paura, paura di non essere all’altezza, di non riuscire a sostenere la sua sposa nell’ora del travaglio. Qualcosa è accaduto! Continua a ripetersi il pastore, è qualcosa di straordinario che certamente appartiene alla nascita di ogni uomo, ma che è potenziato in quella mangiatoia, dove un’aria misteriosa aleggia come polvere di stelle, ed ecco subito, l’accenno di un’ombra scivola sulle pareti di tufo. Sono ali di angeli appuntate alla schiena di un uomo avvolto in una veste bianca. La sua sagoma, disegnata dai bagliori delle polveri sottili disperse nell’aria, emerge fiocamente dal chiaroscuro del focolare. Il pastore si stropiccia gli occhi è tentato di scappare, non si è ancora convinto di averla vista sul serio che quell’immagine celeste è già sparita. Ora è lui ad aver paura. È solo un pastore; avrebbe dovuto vegliare le pecore e invece si era addormentato e forse stava ancora dormendo, forse non era reale tutto quello che stava succedendo. Ma il bambino piange, tende le braccia verso la Madre e la percezione del sogno nel pastore svanisce. È tutto vero! Arrivano delle persone, lo annunciano rumori soffusi simili a quelli di un cavallo. Il pastore è lì sulla soglia, una gamba dentro un’altra fuori, non fa che guardare di là e poi di qua, sfregandosi le mani sul pantalone di peltro senza sapere cosa fare. Si sente impotente, stupito, abbacinato e poi improvvisamente si vedono da lontano, sagome di uomini in groppa a cavalli rivestiti d’oro. Angeli anche loro? O forse principi? Il primo scende dal destriero e si avvicina alla mangiatoia, le mani ingioiellate, le vesti di seta e broccato. Si inginocchia accanto alla giacimento di fortuna come in adorazione di quel bambino e gli offre uno scrigno con qualcosa che il pastore non riesce a vedere. Qualcosa è accaduto! Continua a ripetersi il povero pastore scuotendola la testa. Poi si volta ed è costretto ad indietreggiare esterrefatto e anche un po’ spaventato. Un altro principe, con la pelle color dell’ebano, anche lui finemente vestito si inginocchia accanto al primo, ogni suo movimento fa danzare i monili di cui è adorno e il loro tintinnare è una musica preziosa. Ed eccone un terzo, barbuto e ricco che si sporge da dietro al primo per contemplare la luce che brilla nella soave tenerezza del Principino divino.  Gli offrono in dono oro, incenso e mirra e restano lì a contemplarlo in un religioso silenzio. Il pastore è ancora confuso ma ora non vuole più fuggire, anzi ora vorrebbe restare lì per sempre perché quel bambino sgambettante che squittisce inconsapevole, irradia una luce particolare. Una folata d’aria tiepida lo avvolge come in un abbraccio, il pastore si volta di scatto e l’angelo è di nuovo lì, sulla soglia della mangiatoia, come un vegliardo portentoso. La luce della luna lo illumina più chiaramente questa volta, il pastore non riesce e distinguere se si tratta di una donna oppure di un uomo, nemmeno gli interessa stabilirlo così come non gli interessa dare una spiegazione a quella storia, nel suo cuore sa solo di essere parte del mistero che riguarda quella creatura, di appartenergli come l’acqua appartiene alla terra. Tutto quello che gli resta da fare è inginocchiarsi e pregare.




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