Aborto

Sotto la legge abortista negli Stati Uniti, l’ombra delle femministe radicali

di Gabriele Soliani

In America è possibile abortire anche dopo la 24° settimana di gestazione, l’importante è garantire la libertà e i diritti della donna. Ma a quelli del bambino chi ci pensa?

Martedì 22 gennaio, 46°anniversario della famosa sentenza della Corte suprema Roe contro Wade che nel 1973 ha liberalizzato l’aborto in tutti gli Stati Uniti, fondata su una campagna menzognera come ammise la povera Norma Leah McCorvey (vero nome di «Jane Roe» protagonista della sentenza), il parlamento dello Stato di New York ha approvato una legge che consente praticamente di abortire fino al nono mese di gravidanza.

La legge, dopo alcune modifiche votate dall’Assemblea, è stata approvata dal Senato dello Stato americano con un voto di 38-24, passando con una facilità disarmante per la netta maggioranza dei democratici in entrambe le camere. Il Reproductive Health Act (RHA) votato dai democratici, fortemente voluto dal governatore Andrew Cuomo (che ha apposto la sua firma nella stessa giornata) e dal suo sponsor Hillary Clinton, modifica dopo quasi 13 anni di tentativi andati a vuoto la già radicale legislazione dello Stato di New York (la soppressione del bambino in grembo era già consentita fino alla 24° settimana), dove l’aborto era stato introdotto fin dal 1970, tre anni prima della Roe contro Wade. L’RHA esordisce definendo la «salute riproduttiva onnicomprensiva» (espressione che per gli estensori della legge include la contraccezione e l’aborto) «un elemento fondamentale» per la «salute, la privacy e l’uguaglianza» di ogni individuo.

Dopo aver affermato il «diritto» alla sterilizzazione, il testo dell’RHA prosegue: «Ogni persona (il testo però usa per la precisione il più generico «individual», e non «woman», il che non è indifferente per l’ideologia gender) che rimane incinta, ha il diritto fondamentale di scegliere se portare avanti la gravidanza, fare nascere un bambino o avere un aborto». L’uno o l’altro è indifferente per lo Stato! Si afferma poi che lo Stato non può «negare o interferire con l’esercizio dei diritti». Qualunque operatore sanitario potrà, con una valutazione «in buona fede», praticare un aborto anche dopo le 24 settimane di gravidanza nel caso in cui ritenga che il bambino non abbia raggiunto la capacità di vivere autonomamente fuori dal grembo materno (l’esperienza medica mostra che ciò può avvenire già intorno alla 21a settimana) oppure nel caso di pericolo per la «vita o salute» della donna.

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Sappiamo che nel termine «salute» si fanno oggi rientrare le più svariate motivazioni psicologiche, e quindi nello Stato di New York sarà semplice ottenere un aborto fino a qualche istante prima del parto, dato che: «Persona, quando ci si riferisce alla vittima di un omicidio, significa un essere umano che è nato ed è vivo». Il bimbo nel grembo quindi non è “persona” per il Governatore democratico Cuomo. Gratta gratta sotto questa legge disumana c’è l’ombra delle femministe radicali delle Nazioni Unite.

Melissa Upreti, titolare di un mandato speciale del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, lo scorso settembre al Consiglio delle donne di New York ha invocato l’aborto su richiesta fino alla nascita, secondo quello che a suo dire richiede la normativa internazionale e secondo quanto richiesto espressamente dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla discriminazione contro le donne. La Upreti ha ribadito che criminalizzare l’aborto costituisce una discriminazione basata sul sesso e quindi viola il trattato e che l’espressione “diritto alla vita” in esso contenuta sottintende il diritto all’aborto. Una macchinazione cervellotica nella quale gli abortisti si avvitano su loro stessi e dalla quale non si esce più se non con la difesa ad oltranza delle donne e della vita nascente.




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