I GIOVANI E CRISTO

Cristo e la “fame” dei giovani: due alberi, una parola. Così Alessandro D’Avenia

di Cristiana Mallocci

La giovinezza oggi viene crudelmente, ingiustamente ed indefessamente “male-detta” e, cioè, sottoposta ad una narrazione negativa, persino in ambito spirituale. Si dice infatti che i ragazzi “perdono la fede”. Tuttavia, è proprio così? Come può perdersi qualcosa che non si è ancora trovato, o, meglio, che non ci ha ancora trovato? Ce ne parla Alessandro D’Avenia.

Cristo e la “fame” dei giovani. Due alberi, una parola: è il titolo attribuito alle sapienti, intense ed urgenti riflessioni del noto e fecondo insegnante e scrittore siciliano Alessandro D’Avenia, custodite tra le pagine del celebre quotidiano Avvenire, dove l’autore si pone la delicata, audace e complessa sfida di proporre in una modalità originalmente autentica e concreta la figura di Cristo. 

I due alberi sono la manifestazione della vita e della conoscenza: sono due alberi piantati nel cuore dell’uomo sin dal Principio, ma che trovano compimento solo mediante lo sguardo benevolo e benedicente di qualcuno che sia capace di formulare, incarnare e testimoniare una narrazione profetica positiva sulla giovinezza

Il nuovo catechismo rappresenta, allora, uno strumento utile al fine di invitare ed incoraggiare i giovani a porre la loro intelligenza ed il loro cuore, così spavaldo e fragile al contempo, a servizio della loro inesausta e vitale ricerca umana, esistenziale e spirituale. 

D’Avenia ricorda con piacevole nostalgia di aver intrapreso un cammino di questo tipo a 15 anni: a quell’età, infatti, ha avvertito l’imperante, urgente e bruciante necessità di porsi dei quesiti e quindi di formulare delle autentiche e soddisfacenti risposte in merito. Lo ha aiutato l’appartenenza religiosa respirata nella propria quotidianità, sin dall’infanzia. 

Il faticoso e straordinario itinerario ha potuto espletarsi con pragmatica ed esauriente efficacia, grazie alla presenza di interlocutori che lo incoraggiassero a non sottrarsi all’immensa ed appassionante sfida degli interrogativi che colmavano il suo cuore, a non sfuggire all’appassionante meraviglia ed inquietudine che avvertiva dentro. A quelle stesse domande che, più o meno consapevolmente, ricolmano ed assillano il cuore e la mente dei giovani. 

La giovinezza oggi viene crudelmente, ingiustamente ed indefessamente “male-detta”, cioè, sottoposta ad una narrazione negativa, persino in ambito spirituale. Si dice infatti che i ragazzi “perdono la fede”. Non so se ciò sia vero: come può perdersi qualcosa che non si è ancora trovato, o, meglio, che non ci ha ancora trovato? 

Sarebbe invece più interessante chiederci come possa risultare interessante ed affascinare una fede associata a concetti apparentemente astratti, spesso ritenuti noiosi. 

Leggi anche: “Testimoniare l’amore oggi”: a Caravaggio, incontro per evangelizzatori della famiglia (puntofamiglia.net)

Come mostrare ai giovani la bellezza della preghiera? Come aiutarli a scoprire la gioia della carità? Occorre tenere a mente che in quella delicatissima ed affascinante fase della vita, sì è inevitabilmente attratti da ambiti che risultano comprensibilmente maggiormente appetibili ed interessanti, quali ad esempio: amore, corpo e sessualità. Come conciliare, allora, la premurosa e concitata osservazione di Maria: “non hanno più vino” con l’ardente ed enigmatico invito di Gesù: “venite e vedrete”? 

Come fare perché i giovani accolgano il Vangelo nella loro vita quotidiana? 

Cosa se ne fanno, d’altronde, di un uomo buono, ma morto duemila anni fa, se lui non li riguarda in questo preciso istante, in qualunque stato si trovino, gioiosi o tristi, annoiati o esaltati, delusi o innamorati

I ragazzi devono sapere che Cristo non può essere ridotto ad un freddo e distaccato elenco di norme e precetti, distorsione che purtroppo, sovente si verifica quando l’educazione, dunque anche nell’ambito spirituale, viene ridotta ad un estenuante ed insostenibile elenco di regole e divieti, privi di autentica umanità ed autorevolezza. 

Il ruolo di genitori ed educatori non si esaurisce nella mera ed arida trasmissione di principi e dettami; dobbiamo far ardere i cuori! 

La pienezza sta, anzitutto, nel trasmettere e veicolare l’amore, del quale la famiglia è, o perlomeno dovrebbe essere, la principale fonte e compimento.

L’amore imparato in famiglia costituisce l’autentica e principale fonte di santità, e quindi di felicità. Tutto ciò lo ha incarnato in una modalità estremamente eloquente ed efficace Karol Wojtyla. Egli spesso andava in canoa con i giovani universitari, amava intessere conversazioni libere e liberanti, appassionate ed appassionanti, rifletteva con loro sulla teologia del corpo, per proporre una visione umana e spirituale integrata ed integrale.

Il sacerdote salentino Luigi Maria Epicoco, nel corso di una delle sue esaustive e ricche riflessioni, si domanda, riferendosi alla pericolosità di un’educazione meramente nozionistica e moralistica: “Se l’amore di una madre si riducesse solo a ricordare al figlio di lavarsi le mani che amore sarebbe? Come potrebbe quel figlio avere la vita cambiata da un amore così?”.

Anche Epicoco, infatti, ha la granitica, sapiente certezza e convinzione che, come scrive Giovanni nel suo Vangelo: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. 

Ciò ricorda ai genitori e agli educatori come il loro primario compito e dovere non sia quello di trasmettere norme e principi, concretizzati nell’eloquente metafora dei libri, ma anzitutto quella di far sentire i giovani amati con un infinito amore, ricolmo di fiduciosa, benevola e benedicente predilezione, sottoponendoli ad una visione profetica, positiva e propositiva. Per quanto “i libri”, ossia le norme, sono necessari, Cristo ci permette di incontrare prima di tutto un amore incarnato di autentica, pragmatica e fiduciosa predilezione.




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