TESTIMONI DI FEDE

Nei frammenti della storia. Don Mario Vassalluzzo, giornalista e comunicatore

Vi sono persone che hanno la capacità di guardare più lontano e sanno scrivere nel presente parole che profumano di futuro. Don Mario Vassalluzzo appartiene a questa categoria. La fede potenzia tutte le capacità dell’anima e dona all’intelligenza la capacità di intuire quello che appartiene al domani.

Contrariamente a quello che pensano molti, la fede non ci chiude nella nostalgia della memoria ma riveste di speranza il nostro vivere. Il presente diventa così un ponte che lega passato e futuro, due sponde lontane e apparentemente inconciliabili. Il credente raccoglie e custodisce con amore geloso ciò che ha ricevuto dalla Tradizione; al tempo stesso guarda all’avvenire con fiducia e si preoccupa di seminare nell’oggi ciò che permette al Vangelo di continuare la sua corsa lungo i sentieri della storia. Mi pare la premessa per leggere un capitolo non marginale della vita e del ministero di don Mario Vassalluzzo. 

La fiducia

Don Mario è cresciuto in un’epoca in cui l’immane tragedia della guerra, invece di soffocare la speranza, aveva lasciato negli animi un desiderio ancora più ardente di costruire un mondo più dignitoso per tutti. È un’attitudine che ha accompagnato tutta la sua vita, anche negli anni dei capelli bianchi, quelli in cui spesso lo sguardo critico, e pur motivato, diventa troppo aspro e chiude le porte alla novità. Ho avuto modo di collaborare con lui per lunghi anni e posso attestare di aver sempre ricevuto iniezioni di fiducia e di incoraggiamento. 

Era l’autunno del 1987, la diocesi di Nocera – Sarno aveva ricevuto da poco un nuovo vescovo nella persona di mons. Gioacchino Illiano. Ero tornato in diocesi dopo la Licenza in Teologia morale, conseguita a Roma presso l’Accademia Alfonsiana. Conoscendo il mio interesse per i mezzi di comunicazione sociale (durante gli anni del seminario mi aveva chiesto di partecipare ad alcune trasmissioni sulla Radio che lui aveva fondato) mons. Vassalluzzo mi chiese se volevo impegnarmi nell’Ufficio diocesano delle Comunicazione Sociali. Rifiutai, sia pure a malincuore. Non mi sentivo pronto o forse… un’altra era la strada che il Signore preparava per me. In ogni caso, l’invito che un sacerdote maturo e carico di responsabilità consegnava ad un prete giovane e ancora privo di esperienza, lasciava in me una traccia, mi faceva sentire accolto e stimato, mi incoraggiava a dare il meglio di me. Era questo lo stile di don Mario. 

La fiducia non era priva di accenti critici, quando egli ravvisava la necessità di mettere in guardia dai pericoli. Come quando abbiamo iniziato l’avventura del mensile diocesano Insieme. Con grande franchezza, ma sempre con moderazione, manifestava le sue perplessità, il progetto appariva troppo audace ai suoi occhi, temeva che non avremmo avuto le risorse per condurre a termine l’impresa. E tuttavia, quando siamo partiti nel 2005, forti dell’approvazione episcopale, non ha mancato di dare il suo sostegno, firmando il periodico come direttore responsabile. Fino al 2010, quando al compimento del suo 80° genetliaco, chiese gentilmente di essere esonerato. 

La scelta della comunicazione 

L’attenzione ai mezzi di comunicazione accompagna fin dall’inizio il suo ministero sacerdotale. Nel 1962, giovane parroco a Roccapiemonte, sua città di adozione, fonda il periodico Ribalta giovanile, voce dei giovani e fermento in una società attraversata da rapidi cambiamenti. Una scelta lungimirante se pensiamo che l’anno dopo, il 4 dicembre 1963, veniva pubblicato il primo documento del Concilio Vaticano II, dedicato proprio all’importanza dei mass-media. Non mancavano legittime e motivate perplessità sull’uso dei mezzi di comunicazione, purtroppo confermate negli anni successivi. E tuttavia, le critiche non impedivano, anzi sollecitavano e obbligavano a investire maggiori energie in questo nuovo ambito e decisivo della vita sociale: “La madre Chiesa riconosce che questi strumenti, se bene adoperati, offrono al genere umano validi sostegni, perché contribuiscono efficacemente a sollevare e ad arricchire gli animi, nonché a estendere e consolidare il regno di Dio” (Inter mirifica, 2). 

Don Mario respira questo clima ecclesiale, pervaso dal desiderio sincero di trovare nuove forme per rinnovare l’antico e sempre valido annuncio del Vangelo. La giovinezza e la sua personale sensibilità lo aprono con naturalezza alle res novae. Erano gli anni in cui Papa Giovanni chiedeva alla Chiesa di attuare un serio aggiornamento che non significa rompere con la Tradizione e adattarsi alle mode dei tempi ma portare nell’oggi della storia la parola e la persona di Cristo, che “è lo stesso ieri e oggi e per sempre!” (Eb 13,8). 

Il ministero del giovane sacerdote s’inserisce pienamente nel solco di questo rinnovamento ecclesiale. Egli comprese che la vita liturgica non esauriva l’azione pastorale, era necessario aprire nuovi cantieri e mettere in campo altre iniziative per dare alla Chiesa un volto più giovane e più rispondente alle attese delle giovani generazioni. In un articolo del 1969 scrive: 

“La Chiesa, mediante la quale Cristo oggi continua a vivere e ad agire, non vuole essere una società di ritardati dello spirito ma una realtà aperta e sensibile alle attese e alle tensioni, quelle vere e autentiche, degli uomini” (Carissimi. Lettere a cuore aperto ai giovani di ieri e di oggi, p. 80).

Il periodico citato è solo l’inizio di un impegno giornalistico che negli anni successivi trova molte altre espressioni. Nel 1970 nasce Rocca Apudmontem, giornale a carattere cittadino che intende intrecciare le voci della gente con quella della politica. Nel 1975 fonda Radio Ra.li.va.s., acronimo che sta per Radio Libera della Valle del Sarno. È interessante notare che questa scelta segue di pochissimo una storica sentenza della Corte Costituzionale che aveva bocciato il monopolio statale sulla radiofonia e, di fatto, apriva le porte alla liberalizzazione (1974). 

Il periodico, la radio… non gli basta, in quegli anni decide di aprire anche uno spazio televisivo, nel 1980 nasce Tele Rocca. Una scelta precisa e motivata, come spiega lo stesso don Mario in un articolo del 1990: 

“Che noi si credesse nella bontà dell’emittenza locale l’abbiamo continuamente dimostrato sia negli anni in cui abbiamo portato avanti il discorso radiofonico con la Ra.li.va.s sia quanto a questo si aggiunse Tele Rocca. Attraverso questi mezzi modesti quanto volete abbiamo restituito alla gente il diritto di partecipare alla cosa pubblica facendo entrare nelle case, senza strumentalizzazioni, la voce libera del sindaco come del consigliere comunale, la protesta dell’umile cittadino come la difesa dell’amministratore”. 

In quegli anni don Mario inizia a collaborare con i quotidiani locali – Il Mattino e Roma – scrive anche su Avvenire e L’Osservatore Romano. Senza dimenticare che in quegli anni ha ricevuto la responsabilità del Bollettino diocesano che, sotto la sua attenta e scrupolosa guida, offre una puntuale documentazione della vita ecclesiale. Un compito che ha custodito fino alla morte.

Un nuovo Vangelo

Don Mario è un uomo ben radicato nella tradizione, la formazione benedettina ha lasciato un’evidente impronta nella sua vita. Al tempo stesso, è un uomo che sa scrutare i “segni dei tempi”, per usare un’espressione usata e forse anche abusata del Vaticano II (Gaudium et spes, 4). Un uomo che non solo intuisce le nuove opportunità ma risponde con sorprendente tempestività e con un coraggio non comune. È un credente che non teme di affrontare nuove sfide e di imparare nuovi linguaggi per dare voce a quella Parola che nessuna tempesta potrà mai soffocare. 

L’ho sentito qualche volta affermare, con quella legittima fierezza che non scade nell’orgoglio, di avere realizzato nell’Agro la prima radio libera. Lo diceva con pudore, non aveva la presunzione di presentarsi come il primo della classe, voleva piuttosto ricordare che la Chiesa avrebbe dovuto impegnarsi di più nelle comunicazioni sociali. Anche lui avrebbe voluto fare di più e lasciare una traccia più duratura ma, in obbedienza, ha accolto altri ministeri e responsabilità ben più importanti che gli hanno impedito di dare continuità ai suoi desideri.

Il mestiere del giornalista per don Mario non è un’appendice della sua vocazione, una sorta di hobby, ma parte integrante del suo ministero sacerdotale:

“L’attività giornalistica – scrive nel 1984 – l’ho ritenuta come quella del sacerdozio, una missione e un servizio all’uomo che ha il diritto ad una onesta e obiettiva informazione. In questa missione-servizio mi sono tenuto sempre lontano da un certo giornalismo da ‘colpo a sorpresa’ o, peggio ancora, di maniera, ed ho cercato che la ‘notizia’, per quanto è possibile alla nostra natura, fosse sempre moralmente buona quindi verrà intera, onesta, conveniente, libera recante in sé l’eco del vangelo, che significa appunto Buona novella”.   

Leggi anche: “Non trovo un minuto di pace”. Storia di un prete che ha dato tutto (puntofamiglia.net)

È questa la motivazione che ha suggerito alla redazione del mensile diocesano Insieme di assegnare a mons. Vassalluzzo la prima edizione del Premio Euanghelion (2006), attribuito ogni anno ad una o più personalità che si sono distinte nel mondo della comunicazione sociale. Ecco la motivazione che fu scritta sulla targa a lui consegnata: 

Premio “Euanghelion 2006” a mons. Mario Vassalluzzo, Vicario generale della diocesi di Nocera Inferiore-Sarno nel 50° anniversario del suo ministero sacerdotale, caratterizzato fin dall’inizio dalle più svariate espressioni culturali della carità pastorale e soprattutto dalla valorizzazione dei “media” per diffondere in tutte le pieghe della società la buona notizia del Cristo.

Don Mario ha cercato di mostrare che esiste un intimo legame tra la Parola eterna, che da duemila anni risuona in ogni parte del mondo, e quella parola fragile ed effimera che usiamo per comunicare i fatti quotidiani. Il suo cuore, fatto per la verità, non sopportava quella superficialità, purtroppo sempre più diffusa, che si ferma alla cronaca e non si preoccupa di leggere in profondità gli eventi. Lui sapeva che nelle vicende umili della nostra umanità si nascondono i semina Verbi, i frammenti di verità che lo Spirito getta nei solchi della storia. Il giornalista per lui non solo racconta ciò che accade ma si sforza di capire ciò che avviene. 

Scrittore e storico

Nella sua lunga vita sacerdotale, e fino alla fine, don Mario ha impegnato le sue migliori energie per fare della cultura un capitolo dell’opera di evangelizzazione. Lo scrive lui stesso: 

“alla ricerca storica ho dedicato tutta la mia esistenza offrendo all’Apudmontem e alla mia diocesi documenti e lavori che non sta a me enumerare perché attraverso la storia l’uomo possa essere ricondotto a quell’unica verità che ha il potere di farlo libero” (Lettera inviata al dr. Andrea Pascarelli, Sindaco di Roccapiemonte, pochi giorni prima di morire). 

Quando ha iniziato il suo ministero episcopale, conoscendo le qualità culturali di don Mario, che scelse come suo prezioso e insostituibile primo collaboratore, mons. Gioacchino Illiano gli chiese di stendere un’agile biografia di don Enrico Smaldone (1914-1967), oggi Servo di Dio. Fu il primo testo di una più ampia collana – denominata I nostri testimoni – che racconta la vicenda umana e spirituale di uomini e donne dell’Agro nocerino-sarnese che hanno offerto una luminosa testimonianza del Vangelo. Sono libri scritti con l’attenzione scrupolosa dello storico che indaga con passione e consuma gli occhi negli archivi della memoria. Al tempo stesso, quei libri sono pensati e scritti con il cuore di un sacerdote che desidera far arrivare a tutti un raggio di luce, anche a quelli che non hanno la possibilità di dedicare tempo al pur doveroso approfondimento. La divulgazione in questo caso non è approssimazione ma una forma di quella carità che permette all’apostolo Paolo di dire: “Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli” (1Cor 9,22).

Ha scritto apprezzati saggi di storia sulla città di Rocca e di Casalvelino, la terra che gli ha dato i natali. Un lavoro essenziale, egli riteneva infatti che non si può costruire un’identità se perdiamo il senso della storia e della memoria. Accanto ad una vasta produzione letteraria, è necessario ricordare i diversi incarichi che il vescovo Gioacchino ha voluto affidare alla sua responsabilità e tra questi il riordino e la catalogazione della biblioteca vescovile e l’archivio diocesano. Compiti onerosi che don Mario ha accolto con gioia, mettendo a disposizione della Chiesa ogni sua competenza, con quella totale dedizione che ha caratterizzato tutta la sua vita.

Don Mario non è stato soltanto un fecondo scrittore ma anche un instancabile animatore di numerose iniziative culturali e sociali, a partire dal Premio nazionale di poesia Apudmonten, istituito nel 1975. L’amore per Dio apre il cuore e la mente a tutto quello che vi è di buono. Uno dei giovani che ha vissuto con lui gli impetuosi anni ’60, Angelo Ciancio, offre una fotografia che rispecchia fedelmente l’uomo e il sacerdote: “la sua ampia e profonda cultura, l’ingegno multiforme, la grande versatilità, l’irrefrenabile curiositas che gli consentivano di spaziare a trecentosessanta gradi nel campo del sapere ben si coniugavano con l’umiltà, lo spirito di carità e il profondo amore per il prossimo” (Don Mario. Verso la luce, 57). 

Un cuore sacerdotale

L’attività giornalistica e culturale non lo esonera dal ministero ordinario che ogni sacerdote esercita, anzi si aggiunge ai non pochi impegni pastorali. Don Mario ha saputo sapientemente intrecciare la dimensione culturale e quella spirituale. Se vogliamo “spiegare” questa esistenza così feconda di opere e parole, dobbiamo ritornare all’origine, alla sua vocazione, alla grazia sacerdotale che ha ricevuto giovanissimo e ha fedelmente custodito lungo tutti gli anni della sua vita. 

Il suo sorriso mite e lo sguardo sereno erano la più bella carta d’identità, su di essa c’è scritto semplicemente: sacerdote. Questa parola dice tutto quando è integralmente vissuta. Sacerdote è un uomo consacrato a Dio, un uomo che ha consegnato a Dio la sua vita, tutta la vita in ogni suo aspetto, mettendo da parte carriera e successi che pure avrebbe potuto agevolmente guadagnare grazie alle doti umane e intellettuali che aveva ricevuto e coltivato con instancabile dedizione.  

Per molti anni ha avuto la responsabilità della parrocchia e chi lo ha conosciuto può testimoniare con quanta passione ha esercitato questo ministero. Il parroco non è un funzionario che apre e chiude il suo ufficio ma un padre che segue con attenzione le vicissitudini della comunità, in ogni suo aspetto, dai bambini agli anziani, senza dimenticare i poveri e gli ammalati. Ha avuto un amore sviscerato per i poveri: “mi sono sforzato di amare, in Cristo, gli indigenti, i poveri”, scrive nel suo Testamento. Qui la penna e il cuore sembrano sostare: “oh, i miei poveri! i miei poveri! Essi hanno costituito il mio punto di riferimento e di forza, la mia costante attenzione per tutta la vita”. Quanti ricordi dietro queste parole! Ma fedele al precetto evangelico di non sbandierare le opere di carità, non dice nulla di più. Una cosa è certa: è vissuto come chi ha solo l’essenziale ed è morto povero. 

Don Mario è stato un pastore attento e amorevole, ha saputo coltivare con discrezione sani e fecondi legami di amicizia, ha valorizzato i mezzi di comunicazione sociale, ha speso non poche energie per riportare alla luce vicende storiche e biografiche di uomini e donne degni di essere ricordati. Non per il gusto del sapere ma per rendere gloria a Colui che “tutto move”. 

Nel giorno della sua ordinazione sacerdotale si recò a visitare l’abate della Badia di Cava, gravemente ammalato, e ricevette una parola che ha custodito come una preziosa reliquia, la stessa che il vescovo Giuseppe ha scelto come luce del suo episcopato: “Cristo ha amato la Chiesa ed ha consegnato se stesso per lei”. Questa parola ha rischiarato la sua vita e il suo ministero. Non è stato solo un servo obbediente e scrupoloso ma un prete che ha amato in modo appassionato la sua Chiesa. 

La divina Provvidenza lo aveva arricchito di molti doni, avrebbe potuto spenderli nella vita sociale e civile e avrebbe certamente raggiunti ruoli apicali. Ha scelto invece di mettersi al servizio del popolo di Dio e della gente comune, accogliendo l’invito di Gesù: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”, ha detto Gesù (Mc 10,43). Si è fatto povero per comunicare a tutti la ricchezza di Dio. Per questo ha ricevuto beni molto più grandi di quelli che un uomo possa guadagnare o ricevere con il suo lavoro. 

Conclusione

“Tu sei vivo più che mai con la tua grazia, la tua pazienza, con la tua sapienza, hai fatto della tua vita un capolavoro della Chiesa”, ha detto di lui mons. Gioacchino Illiano, ricordando la testimonianza ricevuta dal suo primo e fedele collaboratore. 

Il 28 settembre 2012 la diocesi ha voluto salutare e ringraziare mons. Vassalluzzo per il servizio svolto presso la Curia, prima come Cancelliere e poi come Vicario Generale. In quell’occasione il vescovo Giuseppe disse che don Mario ha scritto “una bella pagina di storia ecclesiale”; ed ha aggiunto: “tutte le volte che vorremmo approfondire la storia di questa Chiesa il nome Vassalluzzo ritornerà in modo abbondante e sorprendente. Saranno le nuove generazioni che, se sapranno appassionarsi alla storia della chiesa locale, andranno a scavare nel tessuto per estrarre da esso Nova et Vetera e alimentare così il tessuto connettivo della vita” (Verso la luce, p. 40) 

“La mia esistenza si è svolta nella modestia”, scrive don Mario nel suo Testamento, “mai ho desiderato di mutare la mia condizione sociale”. Anche se ha ricevuto uffici e compiti rilevanti, anche se è stato costantemente circondato da stima e affetto, sapeva restare sullo sfondo, dietro le quinte, pago di vedere (con gli occhi della fede che fa guardare lontano) le opere che altri mettevano in cantiere. Nei suoi occhi c’era la gioia della fedeltà e la certezza di aver adempiuto il proprio compito. Una vita lunga e tutta consumata per il Regno di Dio, una vita che oggi appare come una luminosa collana di perle, tutte raccolte con il filo della carità sacerdotale. 

La storia della Chiesa è fatta da persone come lui che hanno messo a servizio del Vangelo tutte le proprie capacità, tutto il proprio tempo, senza rivendicare nulla. Sempre nell’ombra, per servire, e pronto a uscire di scena, quando l’obbedienza lo richiede.

L'articolo è un estratto dell'intervento pubblicato nel testo: “Don Mario Vassalluzzo – Pastore secondo il Concilio” edito da D’Amato Editore e da Edizioni Insieme, 2024.



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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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