Eutanasia a 28 anni: la “buona” morte di Zoraya affetta da sofferenza psichica

Rispetto autentico della libertà… o indifferenza? Cosa si cela dietro alla drammatica vicenda di Zoraya? Tutti attorno a lei pare rispettino e abbiano accolto il suo desiderio di morire, nessuna contrapposizione o protesta per farle cambiare idea… Ma è davvero questo vogliamo? Qualcuno che accetti senza battere ciglio la nostra disperazione o qualcuno che offra motivi per vivere?

Nelle foto, diffuse sui social in queste ore, il suo volto ricorda un dipinto rinascimentale. Una di quelle dame dalla pelle chiarissima, i capelli castani a contrasto col bellissimo paio di occhi azzurro cielo.

Così appare Zoraya nelle immagini realizzate a casa sua, e diffuse grazie all’agenzia The Free Press, che attraverso la reporter Rupa Subramanya ha potuto raccogliere telefonicamente per quasi un mese alcune dichiarazioni fatte dalla giovane donna.

Due gatti, un fidanzato (quarantenne programmatore informatico) conosciuto quando aveva 18 anni e con cui ha una stabile relazione decennale, una bella casa, curata, nei colori del legno, fuori dalle finestre una cittadina olandese al confine con la Germania: questa è la realtà quieta in cui viene ritratta Zoraya, la sua vita attuale.

Però, i primi di maggio, se le cose andranno come da lei prestabilito, non sarà più tale.

Ha già ricevuto conferma della data in cui potrà usufruire di un “servizio sanitario” olandese che di sanitario ha ben poco: l’eutanasia, la morte assistita. 

Qualunque sia il modo in cui ognuno ritiene opportuno denominarla, comunque si tratta di un suicidio chimicamente facilitato.

Zoraya ter Brek, dunque, fra poche settimane riceverà a casa propria la visita di un medico, che dopo averle chiesto conferma della volontà a procedere, le somministrerà il cocktail endovenoso (non si tratta di un farmaco, la farmacia è una scienza nobile con ben altri scopi) che arresterà le sue funzioni cardiocircolatorie.

Qual è esattamente il motivo per cui una giovane donna ricorrerà alla pratica dell’eutanasia, che in Olanda nel 2022 ha causato in base ai dati ufficiali almeno il 5% dei decessi sul totale di quelli registrati nella popolazione (ma si pensa la percentuale sia molto più alta a causa dei molti casi non dichiarati)?

Zoraya ha fatto questa scelta definitiva dopo che il suo neuropsichiatra, al termine dell’ultimo ciclo di terapia elettroconvulsiva, le ha detto (come lei stessa riferisce) “non c’è più nulla che possiamo fare per te in termini di terapia, non starai mai meglio di così”.

Soffre da anni di una malattia psichica che sarebbe stata inquadrata nell’ambito dei disturbi della depressione, dei disturbi d’ansia e dell’autismo.

Quale che sia il nome della sua indubbia sofferenza, essa non le arreca limitazioni fisiche o mentali tali da renderla incapace alla vita. Come evidenziano i video in cui parla di sé e del suo futuro a breve termine, Zoraya sa raccontarsi, sorridere, e ragionare in modo del tutto congruente con la realtà. 

La giornalista che ha avuto modo di intervistarla riferisce che si tratta di una giovane donna incredibilmente intelligente, dotata di senso dell’umorismo, e particolarmente matura.

Leggi anche: Chi salverà Zoraya? L’ipocrisia del pensiero eutanasico – Punto Famiglia

Paradossalmente, nonostante la sua decisione, ha paura della morte, che vive come un’incognita, “non sappiamo davvero cosa accadrà dopo, o non c’è niente? Questa è la parte spaventosa”, dice.

Racconta di non avere particolari legami familiari né di volere gli amici a compiangerla, motivo per cui non desidera un funerale.

Aggiunge di non voler dare fastidio al suo fidanzato con le incombenze per la sua tomba; perciò si farà cremare e custodire in un’urna funeraria che chiama già la sua nuova “casa”, ma lo sarà per poco, giacché le sue ceneri verranno sparse in un bosco dal fidanzato.

Parla con un certo timore del suo ultimo giorno, del fatto che qualcuno le offrirà una bevanda calda per farla rilassare prima che il medico le inietti il veleno letale che la manderà in coma e poi in arresto cardiaco, mentre lei sarà lì sdraiata sul divano, col fidanzato di fianco come da sua volontà.

Eppure, Zoraya fino a qualche anno fa sperava di fare la psichiatra da grande. Non è riuscita a proseguire gli studi, a trovare la forza per farlo, o non ha avuto qualcuno che gliene infondesse.

Tutti attorno a Zoraya pare rispettino e abbiano accolto il suo desiderio di morire, nessuna contrapposizione o protesta veemente per farle cambiare idea.

Questa storia tragica, che tra le righe sembra nascondere una solitudine devastante (nonostante dall’intervista sembra che Zoraya abbia una larga cerchia di amici), ricorda molto da vicino un’altra vicenda simile accaduta poco tempo fa.

Per una inquietante coincidenza si trattava anche allora di maggio, il 7, del 2022. Lei aveva 23 anni e si chiamava Shanti De Corte, viveva in Belgio, era tra i sopravvissuti all’attacco terroristico del 2016 nell’aeroporto di Bruxelles dove si trovava in partenza per una gita con la sua classe scolastica. Non si era più ripresa dallo shock, dallo stress post traumatico, era rimbalzata da un terapeuta all’altro, e anche nel suo caso alla sofferenza psichica era stato decretato il diritto di reclamare il possesso completo di una vita fino a decretarne la morte.

Il tema del suicidio assistito, che acquista sempre più favori tra i radicali della libertà di decisione sul fine vita, traccia un quadro triste e a rapida evoluzione verso la svalutazione della vita anche quando essa di fatto potrebbe continuare nonostante difficoltà indubbie.

Non sono poche le domande che questo argomento suscita, e a ragione.

Qual è il confine tra una vita per cui combattere e una per cui non vale più la pena lottare? E come spiegheremo un giorno ai nostri figli che il suicidio non è una scelta contemplabile di fronte alle sofferenze, soprattutto ora che osserviamo picchi numericamente spaventosi di casi di suicidio giovanile?

Rimaniamo speranzosi nel miracolo di un cambio di rotta per Zoraya, e per la società civile che da tempo ha cominciato a darsi risposte sbagliate sul senso della vita.




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Lisa Zuccarini

Lisa Zuccarini, classe '83, è una moglie e mamma che ha studiato medicina per poi capire alla fine di essere fatta per la parannanza più che per il camice. Vive col marito e i loro due bambini. Dal 2021 ha scoperto che scrivere le piace, al punto da pubblicare un libro edito da Berica Editrice, "Doc a chi?!", dove racconta la sua vita temeraria di mamma h24 e spiega che dire sì alla vocazione alla famiglia nel ventunesimo secolo si può, ed è anche molto bello.

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